di Clemente Pistilli
Da Falcone in poi le polemiche sulla superprocura antimafia non sono mai mancate. Veleni sono sempre stati sparsi a fiumi e per chi si è trovato al vertice di un organo che dovrebbe dare la caccia ai mafiosi, ma che finisce per dover fare i conti con tanti equilibrismi e che ha a disposizione armi spuntate, la vita non è mai stata troppo semplice. Non poteva essere diverso per Franco Roberti, scelto come capo della Direzione nazionale antimafia al posto di Piero Grasso, entrato in politica e diventato presidente del Senato, dopo mesi di battaglie tra correnti. A chiedere di annullare tutto, sostenendo che il Csm ha preso un abbaglio e ignorato persino quanto risultava dai documenti esibiti dai candidati, è ora il procuratore generale di Ancona, Vincenzo Macrì. Una patata bollente finita nelle mani del Tar del Lazio.
Una nomina problematica
La superprocura voluta da Giovanni Falcone è sempre stata guardata con diffidenza, tanto dalla politica, spaventata da un organo con ampi poteri nella lotta ai clan, che dalla magistratura, gelosa del proprio orticello. Non a caso lo stesso Falcone non riuscì a sedere sulla contestata poltrona, avendo raggiunto il numero di consensi necessario soltanto un giorno prima di venire ucciso a Capaci. A tentare difficili mediazioni fu Bruno Siclari, ex aggiunto della Procura di Milano, che nel 1997 fece spazio a Pier Luigi Vigna. La Dna alla fine è andata avanti, ma con un potere limitato, visto che è chiamata a coordinare il lavoro delle Procure distrettuali antimafia, a vigilare su tali attività, ma non può seguire direttamente indagini. Polemiche, infine, non mancarono quando nel 2005 venne nominato superprocuratore Piero Grasso al posto del candidato Giancarlo Caselli, e rispuntano ora dopo le lunghe trattative per la scelta di Roberti.
Incarico per mesi vacante
Candidato con il Pd al Senato e poi eletto presidente di Palazzo Madama, Grasso ha dovuto lasciare la guida della Direzione nazionale antimafia. Per sette mesi quell’organo è rimasto acefalo. Le correnti della magistratura non riuscivano a convergere su un candidato, le forze politiche facevano difficoltà a trovare un uomo ben accetto a tutti. Alla fine, a battersela, erano rimasti proprio Franco Roberti, procuratore di Salerno, e Roberto Alfonsi, di Bologna. A luglio fumata bianca. Roberti, magistrato in grado di unire anziché dividere, sostenuto dallo stesso vicepresidente del Csm, Michele Vietti, dal presidente della Corte di Cassazione, Giorgio Santacroce, e dal procuratore generale della Suprema Corte, Gianfranco Ciani, è stato eletto. Sembrava essere tornato il sereno sulla superprocura. Ma così non è.
Toghe contro
Già in estate Vincenzo Macrì, vista messa da parte la propria candidatura, attaccò l’operato del Consiglio superiore della magistratura, facendo cadere ombre sul lavoro svolto a Palazzo dei Marescialli. “Il Csm ha commesso gravi errori documentali su di me”, sostenne il procuratore generale di Ancona. “Mi sono stati sottratti e oscurati dieci anni di attività professionale”, proseguì. Macrì ha ora presentato ricorso al Tar. Sul conferimento dell’incarico a Roberti, 65 anni, di cui 38 con la toga indosso, decideranno i giudici amministrativi del Lazio