Nell’informativa urgente alla Camera, il ministro Tajani ha raccontato un’Italia che salva, costruisce e abbraccia. Peccato che sia un racconto. Mentre a Gaza l’accesso agli aiuti è stato bloccato per oltre 80 giorni, Tajani parlava di ricostruzione, di progetti architettonici e borse di studio, come se la fame e i bombardamenti fossero alle spalle. Secondo l’OCHA, nel solo maggio 2025, l’84% del territorio di Gaza risultava evacuato forzatamente, e oltre il 90% delle strutture ospedaliere era fuori uso. Eppure, Tajani celebrava un’Italia attiva, coinvolta, umanitaria.
La realtà? Dal 2022 il governo Meloni ha sistematicamente evitato di sostenere risoluzioni ONU che chiedevano tregue immediate, cessate il fuoco o il riconoscimento dello Stato palestinese. Tajani stesso ha bollato come “slogan da piazza” la proposta di riconoscere la Palestina, mentre il suo esecutivo votava contro l’apertura di una procedura UE per sanzionare Israele per violazioni dei diritti umani. Perfino sulla Corte Penale Internazionale – che ha chiesto un mandato d’arresto per Netanyahu – il ministro ha definito “irrealizzabile” un’azione legale in Italia.
L’unica coerenza è l’adesione alla linea israeliana: si plaude agli aiuti simbolici, ma si proteggono le forniture militari; si parla di pace ma si silenziano le responsabilità. Il discorso di Tajani alla Camera è stato un esercizio di propaganda travestito da diplomazia. Nessuna autocritica, nessun cambio di rotta, nessuna verità. Solo la solita liturgia di chi invoca la ricostruzione per seppellire, con una colata di cemento politico, i corpi che ancora non hanno smesso di morire.