Tassa ai super ricchi e No al Mes. Grillo torna e dà la linea ai 5 Stelle. Il fondatore lancia la patrimoniale sopra i 50 milioni. Ma i grillini divisi sul Salva Stati agitano il Governo

Si, no, nì. Ok al Mes, via solo alla riforma e pure via libera alla riforma ma con l’impegno a non fare mai ricorso al Meccanismo europeo di stabilità. Tra governisti e dissidenti, tra sofismi e veleni, come prevedibile attorno al Salva-Stati si sta consumando una durissima partita interna al Movimento 5 Stelle, in cui ieri è intervenuto, dopo mesi di silenzi, il garante, Beppe Grillo, fondamentale da tempo nel mettere ordine tra le truppe pentastellate ed evitare che il Governo vada in pezzi.

Questa volta le parole del fondatore non hanno però sciolto il nodo, sono sembrate più vicine ai critici pronti a votare no che a chi, come Luigi Di Maio e il capo reggente Vito Crimi, sta cercando di evitare di far saltare l’esecutivo su una simile mina. E il futuro dei giallorossi sembra realmente in bilico, con un confronto fiume tra i 5S ancora in corso al momento in cui andiamo in stampa.

LA VISIONE. Grillo, scrivendo sul suo blog, ieri ha detto: “Non starò qui ad elencare le mille ragioni” che fanno della linea di credito da 37 miliardi per la sanità “uno strumento non solo inadatto ma anche del tutto inutile”. Ha specificato che tale aspetto, “ogni qualvolta gli viene messo un microfono sotto al naso”, lo ha già sottolineato il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e che se servono risorse per il servizio sanitario nazionale “basta far pagare l’Imu e l’Ici non versata sui beni immobili alla Chiesa o prevedere una patrimoniale per i super ricchi”.

Con quest’ultima proposta il garante è andato così a inserirsi nel dibattito aperto da un emendamento presentato alla manovra da Matteo Orfini e Nicola Fratoianni, al quale il Movimento 5 Stelle si è opposto, costringendo i ministri Luigi Di Maio e Alfonso Bonafede a precisare che mai approverebbero una patrimoniale che colpisce il ceto medio, aprendo soltanto a una tassa per super ricchi, da un portafoglio da 50 milioni in su. C’è poco tempo. Il voto sulla riforma del Mes è previsto per mercoledì, dopo le comunicazioni del premier in vista del Consiglio europeo e a Palazzo Madama il rischio che manchino i numeri è concreto. Quasi certo se i dissidenti pentastellati, che solo i più ottimisti sostengono non siano più di otto, dovessero votare contro come preannunciato.

Una situazione che non sembra essere migliorata dopo le parole di Grillo. Senza contare che ieri c’è stato un lungo dialogo tra Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, che avrebbero ricompattato il centrodestra ed evitato così che FI finisca a fare da stampella alla maggioranza, e che la ministra renziana Teresa Bellanova ha specificato che un no al Mes rappresenterebbe la fine della coalizione giallorossa. A indossare i panni del responsabile, in un momento difficilissimo a causa della pandemia, è stato così nuovamente Di Maio. “Sarebbe da irresponsabili votare contro il Governo e contro il premier che chiede l’autorizzazione ad andare in Europa a chiedere di utilizzare i 209 miliardi di Recovery fund”, ha dichiarato con notevole realismo il ministro degli esteri.

Si punta in tal modo a “un testo fluido”, con una riforma che consentirà a ognuno di dire di aver tenuto il punto e allo stesso tempo senza mettere a rischio la credibilità dell’Italia in Europa. Il confine è sottilissimo e anche il Quirinale è preoccupato. “Se l’Italia non dovesse procedere rischia di perdere la sua credibilità”, insiste il dem Graziano Delrio. “Mai finché saremo noi al Governo”, rispondono molti pentastellati. Una guerra e un pantano parlamentare, come ammettono diversi dem. La mediazione è estremamente difficile questa volta per lo stesso Conte.