Tensioni sul Patto di stabilità Ue. Giorgetti e Meloni all’angolo

Si gioca l'ultima carta per bloccare la riforma del Patto di stabilità. Via libera al Mes in cambio di regole più flessibili.

Tensioni sul Patto di stabilità Ue. Giorgetti e Meloni all’angolo

Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, mostra i muscoli e nel corso della sua audizione sulla governance economica europea mette in conto anche la possibilità che l’Italia, domani e dopodomani nel corso dell’Eurogruppo e dell’Ecofin chiamati a discutere della riforma del Patto di stabilità, possa anche mettere sul tavolo il suo no a regole di bilancio che penalizzano paesi altamente indebitati come il nostro. “Le regole precedenti sono peggiori? Dico sì ma non è che possiamo accettare tutto quello che viene proposto e siccome siamo assolutamente convinti della ragionevolezza della nostra posizione – perché non è che siamo andati lì come i matti – non ci si può chiedere di andare non semplicemente contro l’interesse dell’Italia ma a nostro giudizio anche contro gli interessi dell’Europa”, dice il ministro leghista.

Si gioca l’ultima carta per bloccare la riforma del Patto di stabilità. Via libera al Mes in cambio di regole più flessibili

Che poi a dettare la linea dura a Giorgetti c’è la premier in persona, Giorgia Meloni. Se la riunione dei ministri finanziari dovesse peraltro, così come si sospetta a livello di diplomazie, concludersi con un buco nell’acqua la partita del Patto potrebbe finire direttamente sul tavolo dei leader europei nel vertice del 14 e del 15 dicembre. Durante cui sarà la presidente del consiglio a farsi carico di difendere, come sostiene il governo, gli interessi dell’Italia. L’attesa, poi, è che l’Europa tornerà ancora una volta in pressing sull’Italia per il Meccanismo europeo di stabilità. La premier continua sostenere la logica a pacchetto, vale a dire sì alla ratifica del Mes in cambio di una maggiore flessibilità sulle regole di bilancio europee. Sebbene Giorgetti anche ieri abbia negato qualsiasi logica ricattatoria nella posizione italiana.

“Sarà il Parlamento a dire se quell’accordo negoziato dal governo italiano all’epoca sia da approvare o no”, ha detto il ministro dell’Economia, puntualizzando che comunque “quello sottoposto al Parlamento non è il salva-Stati, semmai è il salva-banche”. “Noi non abbiamo mai ricattato nessuno, noi non ricattiamo nessuno”, ha aggiunto il ministro, riconoscendo comunque: “Che una correlazione tra Mes e Patto di stabilità ci sia sta nei fatti”. Nel merito della riforma del Patto si registra, come di consueto, un braccio di ferro tra i paesi rigoristi, Germania in testa, e i paesi più indebitati, come l’Italia.

Uno dei punti da ultimo più osteggiati da Berlino sarebbe quello relativo al meccanismo per far calare il deficit dei paesi con un disavanzo pubblico sopra il tetto del 3% del Pil. La convergenza trovata prevedeva un aggiustamento fiscale annuo primario pari allo 0,5% del Pil: ma considerarlo “primario” comporterebbe che gli interessi non siano conteggiati, e questo a Berlino non sta bene. Tutti i ‘frugali’ son contrari poi a dar troppa elasticità a deviazioni dei piani di spesa a 4-7 anni, che gli Stati andranno a concordare con la Commissione Ue. Inoltre finora il dialogo esclusivo tra Parigi e Berlino, mediato dalla presidenza di turno della Spagna, ha portato a un testo sul tavolo che prevede un taglio annuale del debito dell’1% per chi sfora il 90% del Pil, e dello 0,5% per chi ha un rapporto debito-Pil tra il 60% e il 90%. A titolo di salvaguardia, nella visione dei rigoristi sostenuta anche da Austria, Finlandia, Repubblica ceca, Paesi Bassi, Svezia e Slovacchia, è necessario appunto l’aggiustamento strutturale minimo di almeno lo 0,5% del deficit per chi supera il 3% del Pil. Un impianto che all’Italia non piace. Anche perché a mancare è ancora la desiderata ‘golden rule’ per scorporare dal calcolo del deficit la spesa per gli investimenti per la transizione verde e digitale, e non solo per quelli destinati alla difesa.

Stoccata del titolare del Mef sui guai di bilancio di Berlino. Ma su debito e deficit i falchi del Nord non ci faranno sconti

Il discorso per l’Italia è nevralgico sul fronte del debito. Per i prossimi tre anni, come gli ha fatto notare Bruxelles, il piano di riduzione prospettato dal governo è sin troppo debole. Come al solito, nel giorno in cui il Cresme certifica la bontà del Superbonus per le casse dello Stato (leggi articolo a pagina 3) Giorgetti difende la scarsa ambizione sul taglio del debito con la misura figlia del M5S. “La riduzione del debito dell’1% si sarebbe verificata già l’anno prossimo se non ci fosse l’eredità del Superbonus. Questa riduzione non fa paura all’Italia, deve iniziare quando gli effetti del Superbonus sono esauriti”. E ribadisce che è pronto a dire no ai suoi colleghi se gli venissero prospettati obiettivi difficili da centrare per l’Italia.

“Su deficit e debito la risposta è la serietà: significa prendersi impegni che si possono mantenere. Di fronte a delle regole sfidanti noi in qualche modo possiamo anche accedere, ma rispetto a regole impossibili da mantenere io non credo per serietà si possa dire di sì”. Giorgetti conferma che per la riforma del Patto la strada è in salita, nonostante la fine dell’anno sia vicina con il ritorno alle vecchie regole che comporta. “Il negoziato – dice – si è fatto più complesso sia per le esigenze degli Stati membri con bassi livelli di debito pubblico, che temono una riforma che possa lasciare uno spazio eccessivo all’espansione dei deficit di bilancio; sia per le evoluzioni politiche che hanno portato in alcuni Paesi a cambi di maggioranze di governo, nonché ai possibili effetti sui bilanci delle pronunce di costituzionalità che potrebbero creare difficoltà ad accettare quelle che appaiono ai rigoristi come regole troppo permissive in materia di deficit”.

Una stoccata quest’ultima ai falchi di Berlino. La Corte costituzionale tedesca ha creato al cancelliere Olaf Scholz e al suo governo un problema da decine di miliardi di euro e ha ribadito che la norma costituzionale del “freno al debito” non può essere aggirata tanto facilmente. La corte di Karlsruhe ha dichiarato nullo il secondo bilancio suppletivo per il 2021. Col risultato che ora al governo mancano 60 miliardi di euro per finanziare l’energia e il clima, i cui piani vengono parzialmente accantonati. Il leghista Claudio Borghi invita Giorgetti a ricordare ai colleghi tedeschi cosa sarebbe successo se non avessero fatto i loro fondi fuori bilancio e se forzatamente avessero dovuto fare tutta la austerità che chiedono agli altri. Ma Berlino, nonostante queste farneticazioni, non è disposta a fare sconti a Roma. Meloni è avvisata.