Terzo mandato ai governatori, la coerenza a targhe alterne di Salvini

La Lega oggi si batte per la libertà di scelta dei cittadini, ma ieri chiedeva ricambio e limite ai mandati. Salvini incluso.

Terzo mandato ai governatori, la coerenza a targhe alterne di Salvini

Quando nel settembre 2016, sul palco di Pontida, Matteo Salvini tuonava contro le carriere eterne in politica, sembrava crederci davvero. “Dopo dieci anni penso che si possa lasciare spazio a qualcun altro”, dichiarava, rivendicando la proposta dei Giovani Padani per un limite di due mandati a qualsiasi carica elettiva all’interno della Lega. Parole nette, quelle del leader leghista, che all’epoca si presentava come rottamatore della vecchia politica, promotore di una rigenerazione generazionale, a partire dal proprio movimento. Ribadì la linea pochi mesi dopo, nel 2017, definendo “fondamentale” il vincolo dei due mandati per garantire ricambio e nuove energie.

Eppure, oggi, Salvini è il principale sponsor dell’abolizione del limite ai mandati per i presidenti di regione. Il 5 giugno, intervistato dal Corriere della Sera, ha rilanciato: “Noi da sempre riteniamo che debbano essere i cittadini a scegliere”. La Lega ha provato più volte in Parlamento a eliminare il vincolo, finora senza riuscirci. Ma ora, con Fratelli d’Italia più disponibile al dialogo, la partita potrebbe riaprirsi.

Il partito del vincolo (quando stava al governo)

L’incoerenza, però, non si limita alle dichiarazioni di Salvini. Come ricostruisce in dettaglio Pagella Politica in un’analisi dell’11 giugno 2025, anche la Lega – quando si chiamava ancora Lega Nord – votò nel 2004 a favore della legge che istituiva il limite dei due mandati consecutivi per i presidenti di regione. All’epoca, era al governo con Berlusconi e Bossi era ministro delle Riforme. Nessuna opposizione formale da parte del Carroccio fu registrata nei resoconti parlamentari. Il limite, introdotto per garantire alternanza e contenere la concentrazione del potere, fu dunque condiviso anche dalla Lega di allora.

Oggi, invece, il partito è pronto a stracciarlo per tutelare due dei suoi governatori più popolari: Luca Zaia in Veneto e Massimiliano Fedriga in Friuli-Venezia Giulia. Il cambio di rotta, spacciato per difesa della volontà popolare, si traduce nei fatti in un’operazione di autoconservazione. Salvini stesso è al suo quarto mandato parlamentare, e ha appena ottenuto la riconferma come segretario del partito fino al 2029. Difficile credergli quando parla di “ricambio”.

La vera battaglia: il controllo del Nord

La posta in gioco, però, va oltre la coerenza. È una guerra interna alla maggioranza per il controllo dei territori del Nord. In particolare del Veneto, storica roccaforte leghista che Fratelli d’Italia vorrebbe scalzare. Per questo, secondo diversi osservatori, Giorgia Meloni finora ha frenato sull’abolizione del vincolo: candidare un proprio nome al posto di Zaia significherebbe sancire il sorpasso definitivo sulla Lega, anche sul piano locale. Solo negli ultimi giorni, il responsabile organizzazione di FdI, Giovanni Donzelli, ha aperto al dialogo: “Non c’è una preclusione ideologica al terzo mandato, ma serve una riflessione nazionale”.

Forza Italia, invece, si oppone apertamente. Raffaele Nevi, portavoce del partito, ha ribadito: “Siamo contrari al terzo mandato. Il limite ha garantito ricambio e qualità nella pubblica amministrazione”. Una posizione che si richiama alla “Seconda Repubblica” e alla logica dei sindaci, dove la rotazione è un principio consolidato.

Ipocrisie senza scadenza

Dietro la retorica della “libertà di scelta dei cittadini”, si nasconde un progetto di cristallizzazione del potere. Salvini non è il solo politico ad aver cambiato idea sull’utilità dei limiti, ma è uno dei pochi ad averlo fatto in modo così esplicito e documentato. Predicava il ricambio quando non aveva regioni da difendere, oggi predica la continuità quando la sopravvivenza della Lega passa da Zaia e Fedriga.

Pagella Politica conclude con un’annotazione lapidaria: “Con il tempo – e con il suo comportamento – il leader della Lega ha dimostrato di aver cambiato idea sulla necessità di ‘ricambiare’ i vertici del partito e delle istituzioni politiche”. Le parole del passato si dissolvono nella convenienza del presente. E la coerenza resta, come sempre, una parola da palco.