La scena si è consumata in pochi minuti, ma la ferita per la Lega resterà aperta a lungo. Nella seduta di oggi della Commissione Affari Costituzionali del Senato, l’emendamento sul terzo mandato – presentato dal senatore veneto Paolo Tosato – è stato bocciato con 15 voti contrari, 5 favorevoli e 2 astensioni. I numeri non lasciano spazio a interpretazioni: Fratelli d’Italia ha fatto blocco contro, Forza Italia ha confermato la sua contrarietà e l’isolamento della Lega è stato certificato da un voto che suona come una sentenza politica.
L’epilogo di una battaglia lunga e mal condotta
L’emendamento era stato inserito all’interno del ddl “Assessori regionali”, un provvedimento tecnico che nulla aveva a che fare con la normativa sul limite dei mandati. La Lega ha scelto un veicolo legislativo forzato, sperando in un colpo di mano che aggirasse l’ostacolo politico. Non ha funzionato. La maggioranza ha rigettato il blitz, ribadendo che senza un’intesa preventiva non ci sarebbe stato alcun via libera.
Il giorno prima del voto, Giovanni Donzelli (FdI) era stato netto: “Senza accordo, non votiamo.” Una linea ribadita dai fatti. Il presidente della Commissione Alberto Balboni e il senatore Domenico Matera — entrambi di Fratelli d’Italia — si sono astenuti, ma il resto del gruppo meloniano ha votato contro. Forza Italia ha fatto altrettanto. Nessuna sorpresa. La Lega lo sapeva, eppure ha voluto arrivare alla conta.
Zaia fuori, Salvini più solo
La vera posta in gioco era – ed è – la ricandidatura di Luca Zaia in Veneto. Il governatore leghista, forte di un consenso personale superiore al 70%, rappresenta per Salvini l’ultimo baluardo in una regione simbolo. Ma la sentenza della Corte Costituzionale del 2025 ha messo la parola fine alle interpretazioni elastiche sul limite dei due mandati: il principio è fondamentale e vincolante. Nessuna legge regionale può aggirarlo. Per candidarsi di nuovo, serve una modifica della legge statale. E oggi quella modifica è stata affossata.
Il danno per la Lega è doppio. Da un lato perde la possibilità di blindare il suo uomo più forte, dall’altro espone il partito a un’erosione territoriale proprio dove era più radicato. Senza Zaia, il Veneto diventa campo di conquista. Fratelli d’Italia è pronta a lanciare un suo candidato. I nomi in campo sono quelli del senatore Luca De Carlo e del veneziano Raffaele Speranzon. E Salvini non ha ancora una contromossa.
Fratelli d’Italia detta i tempi, FI resta il garante
Con questa partita, Fratelli d’Italia si prende il lusso di dettare l’agenda e di posizionarsi come arbitro della coalizione. Ha respinto l’emendamento senza assumersi il peso del “no” frontale, imponendo la regola del consenso unanime, ben sapendo che Forza Italia non ci sarebbe mai stata. Così Meloni ha fermato l’avanzata leghista senza sporcarsi le mani.
Forza Italia, da parte sua, ha confermato il suo ruolo di ago della bilancia: ha bocciato l’emendamento per “questioni di principio”, riaffermando la necessità dell’alternanza e della legalità costituzionale. Ma il calcolo è anche politico: a Roma si vuole evitare un precedente che possa rafforzare la Lega al Nord o creare problemi con eventuali ricandidature nel centrosinistra al Sud, come quelle di Emiliano e De Luca.
Opposizioni ferme, ma divise
Nel fronte delle opposizioni il “no” è stato compatto ma non strategicamente coeso. Il Pd e il M5S hanno votato contro per coerenza con la propria linea sulla rotazione del potere e sul limite ai mandati, ma nel partito di Elly Schlein resta il nodo De Luca. In Campania, infatti, il governatore uscente aveva già tentato la via della legge regionale per azzerare i suoi due mandati. La Consulta lo ha fermato, e oggi il Parlamento gli ha sbarrato definitivamente la strada.
Italia Viva, invece, ha votato a favore dell’emendamento, in una mossa puramente tattica. L’obiettivo era far emergere la spaccatura nella maggioranza, e provare – senza riuscirci – a mettere il governo in difficoltà.
E ora? La Lega senza piano B
La Lega esce da questa vicenda più debole, più sola e senza un piano B credibile. Salvini ha giocato d’azzardo e ha perso. Ha tentato un blitz sapendo che non avrebbe avuto i numeri. Ha voluto mostrare fedeltà ai suoi governatori – Zaia e Fedriga in primis – ma ha ottenuto il risultato opposto: l’irrilevanza. Ora dovrà gestire la transizione nei territori e le frizioni interne, mentre a Roma Meloni può permettersi di attendere.
In teoria, l’emendamento potrebbe essere riproposto in Aula. In pratica, senza l’appoggio di FdI e FI, è morto. Qualunque riproposizione sarà solo propaganda.
Il centrodestra unito è una leggenda
Il centrodestra, oggi, esce da questa votazione più spaccato che mai. Fratelli d’Italia domina, Forza Italia incassa, la Lega arranca. Le tensioni sono esplose su un terreno che riguarda direttamente il potere territoriale, quello che regge le fondamenta delle coalizioni. Il tema del terzo mandato era solo il sintomo. La malattia è il logoramento dell’alleanza.