Lungo il confine tra Thailandia e Cambogia, gli spari non si sono ancora spenti. In due settimane di combattimenti, carri armati, droni e artiglieria hanno trasformato interi villaggi in zone fantasma. Il bilancio umanitario è sempre più pesante: secondo Phnom Penh oltre 518mila persone sono state costrette a lasciare case e scuole per sfuggire ai bombardamenti thailandesi, mentre Bangkok parla di circa 400mila evacuati sul proprio territorio. Più di 200mila sfollati restano nei centri di accoglienza allestiti dalle autorità locali.
Dalle autorità cambogiane arriva la denuncia di un nuovo bombardamento, che avrebbe ferito un cittadino cinese in un’area civile al confine. La Thailandia non conferma, ma la Cina ha comunque avviato un’iniziativa di mediazione e il suo inviato speciale, Deng Xijun, ha incontrato a Bangkok il primo ministro Anutin Charnvirakul.
Thailandia-Cambogia, a causa della crisi militare sono stati sfollati quasi un milione di cittadini lungo il confine. E Bangkok attacca: “Tregua di Trump affrettata”
I numeri ufficiali parlano di almeno 43 morti: 23 in Thailandia, 20 in Cambogia. Ma lo scontro, che dura da decenni lungo una frontiera tracciata ai tempi della colonizzazione francese, nelle ultime ore si è caricato anche di un forte peso politico.
Il ministro degli Esteri thailandese Sihasak Phuangketkeow ha ammesso che il cessate il fuoco siglato lo scorso ottobre sotto l’egida del presidente statunitense Donald Trump era “affrettato” e mirato a garantire un risultato diplomatico utile alla visita del leader americano in Asia. Una tregua dunque fragile, sospesa con la ripresa dei combattimenti di dicembre.
Una spirale che adesso potrebbe lasciare spazio alla diplomazia. Lo stesso ministro ha annunciato che mercoledì riprenderanno i colloqui nell’ambito del comitato congiunto sulle frontiere, su proposta di Phnom Penh. L’appuntamento è fissato per il 24 dicembre a Kuala Lumpur.