La Sveglia

Tortura organizzata: nuova accusa dell’Onu a Israele

L’immagine che apre la giornata non è un cratere, ma un ragazzo in smoking. Il videoreporter palestinese Mahmoud Wadi, ucciso da un drone israeliano a Khan Younis mentre filmava le rovine con lo stesso strumento con cui, fino a un anno fa, riprendeva matrimoni. La foto elegante accostata al giubbotto “PRESS” sul suo corpo ricomposto è il promemoria più crudele di cosa significhi raccontare Gaza.

Nel resto della Striscia le agenzie contano altre vittime, mentre in Cisgiordania l’esercito fa esplodere la casa del detenuto Abdul Karim Sanoubar, evacuando tredici famiglie: una punizione collettiva che si aggiunge a un territorio ormai trasformato in un mosaico di demolizioni, retate, checkpoint.

Ma oggi il centro politico arriva da Ginevra. Il Comitato ONU contro la tortura parla di una «politica di fatto di tortura organizzata e diffusa» da parte di Israele. Non più abusi isolati: una struttura. Nel rapporto compaiono pestaggi sistematici, attacchi con cani, waterboarding, elettroshock, violenze sessuali, amputazioni dovute a cure negate. E un dato che inchioda: almeno 98 palestinesi morti in custodia nell’ultimo anno, una mortalità che per gli esperti è “indicatore diretto” dell’uso della violenza negli interrogatori.

Il dossier apre un fronte internazionale delicatissimo e rischia di spingere gli Stati membri verso indagini sui vertici politico-militari israeliani, mentre la Corte penale internazionale lavora su un fascicolo parallelo. Intanto l’Europa continua a chiedere de-escalation senza toccare i rapporti militari con Tel Aviv, e l’Italia tace anche davanti alla parola più pesante pronunciata dall’ONU: tortura come categoria strutturale.

Per questo oggi lo smoking di Wadi pesa più di una statistica: ogni cronista che cade porta via un pezzo della verità che potrebbe finire davanti ai giudici.