Trafficanti di rifiuti nel Lazio salvati dalla giustizia lumaca

di Clemente Pistilli

Ambiente avvelenato, affari illeciti per mezzo milioni di euro, importanti aziende beffate e, come spesso accade in Italia, nessuno paga. Mentre infuriano le polemiche per le mancate bonifiche di aree che oltre venti anni fa il pentito Carmine Schiavone aveva indicato come cimiteri di fusti tossici, utilizzate dai Casalesi, l’ennesimo processo per gravi reati in tema di traffico di rifiuti si avvia alla prescrizione. Si tratta del procedimento denominato “Sabbie mobili”, che il 27 marzo 2007 portò i carabinieri del Noe a compiere quattro arresti e numerosi sequestri. Un blitz eseguito dopo un anno di indagini seguite dal pm di Velletri, Giuseppe Travaglini, che aveva ipotizzato la costituzione di un’associazione per delinquere, impegnata nell’ecobusiness. Per quei fatti in aula, tra un rinvio e l’altro, non è stato mai ascoltato neppure un testimone e la prossima udienza è fissata davanti al Tribunale di Velletri per il prossimo 20 gennaio, quando larga parte delle accuse risulteranno già prescritte.

Il sistema
Per gli inquirenti la presunta organizzazione criminale, grazie anche all’aiuto di un ispettore dell’Arpa Lazio di Roma, smaltiva rifiuti pericolosi in centri di recupero o in siti non autorizzati per tale tipologia di rifiuto, tra il litorale romano e Latina, falsificando i codici impressi al materiale o miscelandolo. In pratica facevano risultare i rifiuti pericolosi come normale spazzatura e li smaltivano nei siti destinati alla sporcizia prelevata in città dai comuni cassonetti, risparmiando sui costi previsti per le discariche specializzate e guadagnando illecitamente decine di migliaia di euro. Secondo il pm Travaglini, la gang, in un anno, per l’esattezza avrebbero avvelenato l’ambiente con 15mila tonnellate di rifiuti e ottenuto un guadagno di 450mila euro. Nel 2007 in carcere finì Antonio Nocera, inquadrato come titolare di fatto della Servizi Trasporto Ambiente srl di Anzio e della Siritec Ambiente srl di Nettuno, ritenuto al vertice del presunto gruppo criminale, mentre ai domiciliari vennero messi Giovambattista Bonfantini, di Nettuno, amministratore di diritto della Sta, Giuseppe Fabiani, di Frascati, direttore tecnico della Sta e della Siritec, e Roberto Gatta, di Nettuno, legale rappresentante della Siritec. I rinvii a giudizio per un totale di 28 imputati sono stati però disposti soltanto lo scorso anno. Per il pm Travaglini, la Sta trasportava rifiuti nel centro di stoccaggio della Siritec, apponendo sui rifiuti codici falsi o miscelandoli, per poi smaltirli nel centro Anzio Recuperi srl o presso la discarica di Borgo Montello, la stessa discarica che il pentito Schiavone ha indicato come uno dei principali siti utilizzati dal Clan dei Casalesi per far sparire fusti tossici. Accusati di essere parte dell’associazione, oltre a Nocera, Bonfantini, Fabiani e Gatta, anche responsabili della Anzio Recuperi, un direttore della Ecoambiente, la società che gestisce il sito di Montello, e l’ispettore Arpa.

Beffata anche l’Alcoa
Utilizzando tale sistema sarebbero state smaltite illecitamente quattromila tonnellate di fanghi prodotte dalla Alcoa Trasformazioni srl, legata al colosso dell’acciaio statunitense, il tutto grazie a due dipendenti dell’azienda che sarebbero stati compiacenti, 2.500 tonnellate di sabbie di depurazione prelevate dalla società Acqualatina spa, la società che gestisce il servizio idrico in terra pontina, e altre montagne di rifiuti. Indagati per i reati ambientali appunto anche due dipendenti dell’Alcoa, dipendenti della Sta, della Anzio Recuperi, della Siritec e delle società di recupero rifiuti Green Products ed Ecorecuperi. L’Alcoa e l’Arpa si sono costituite parte civile nel processo, ma una sentenza con ogni probabilità non arriverà mai o forse arriverà solo per i pochi inquadrati come vertici dell’associazione per delinquere, per i quali a gennaio ancora non scatta la prescrizione. E anche in questo caso niente bonifiche.