di Fabio Bianchi
Finito in carcere con l’accusa di essere un mostro, di aver cercato di uccidere la moglie per un banale litigio, scaraventandola fuori dalla finestra di casa e facendole fare un volo di cinque metri, condannato in primo grado a ben undici anni di reclusione, un 45enne ha dovuto attendere tre anni dietro le sbarre per veder riconoscere la sua innocenza. E tutto soltanto perché le prove che l’imputato aveva detto la verità e non era responsabile di quel dramma sfiorato, nonostante fossero agli atti della stessa Procura, sono state per così lungo tempo ignorate. Ieri per un meccanico specializzato nella riparazione di aerei è arrivata l’assoluzione dalla Corte d’Appello di Roma, la libertà e il protagonista di quel calvario si prepara ora a chiedere i danni.
La storia emersa ieri nella capitale è l’ennesima di una giustizia spesso ingiusta con chi finisce suo malgrado protagonista di un’inchiesta e, anche se ha tanti elementi a suo favore, fa fatica a venirne fuori. La notte tra il 19 e il 20 maggio del 2011, a Torvajanica, nel Comune di Pomezia, una donna di 42 anni precipitò dalla finestra della sua camera da letto, al secondo piano di una palazzina sul litorale romano. La vittima sussurrò ai soccorritori che a spingerla era stato il marito. I vicini avevano ascoltato le urla della coppia, che fino a pochi minuti prima aveva avuto un’animata discussione. Non servì altro per far finire il 45enne in carcere. Quest’ultimo si giustificò subito dicendo che non aveva toccato la moglie e che era stata la donna a gettarsi nel vuoto, perché depressa e in quel momento ubriaca. Gli esami compiuti nella clinica di Pomezia, prima che la 42enne venisse trasferita all’ospedale San Camillo di Roma, provavano che la paziente aveva un elevato tasso di alcol nel sangue. Ma niente da fare. Quel referto finì nel fascicolo del pm, ma non venne utilizzato. Quando il difensore dell’imputato, l’avvocato Pasquale Cardillo Cupo, lo tirò fuori davanti al Tribunale di Velletri, all’inizio venne anche accusato di falso. Il 45enne venne lasciato in carcere e condannato a 11 anni di reclusione per tentato omicidio. Ieri la verità è stata ristabilita in appello e l’imputato assolto per non aver commesso il fatto. Ora la battaglia di quello che era stato dipinto come un mostro è tutta verso una giustizia ingiusta con lui. “Chiederemo un risarcimento dei danni, per la carcerazione sofferta dal mio cliente, e non solo”, assicura l’avvocato Cupo.