Tregua in bilico a Gaza, per gli Usa “Hamas è pronta a consegnare le armi” pur di preservare la pace, ma Israele riprende i raid nella Striscia

L’inviato Usa Witkoff afferma che Hamas è pronta a consegnare le armi. Ma Netanyahu non ci crede e bombarda la Striscia di Gaza.

Tregua in bilico a Gaza, per gli Usa “Hamas è pronta a consegnare le armi” pur di preservare la pace, ma Israele riprende i raid nella Striscia

Dopo mesi di richieste di disarmo respinte al mittente, Hamas sembra aver finalmente cambiato idea. A rivelarlo è l’inviato degli Stati Uniti per il Medio Oriente, Steve Witkoff, secondo cui il movimento palestinese sarebbe pronto a consegnare le armi a una forza di sicurezza internazionale nella Striscia di Gaza: un gesto che lo stesso diplomatico ha accolto con favore, poiché dimostrerebbe l’impegno verso una pace duratura.

“Hamas ha sempre fatto capire di essere pronta a consegnare le armi”, ha affermato Witkoff durante la conferenza dell’America Business Forum a Miami, aggiungendo che, se ciò avverrà, “si renderà conto che il piano di sviluppo che abbiamo per Gaza è davvero straordinario, molto migliore di quanto proposto in passato”.

Lo stesso inviato ha poi precisato che Washington continua a fare pressioni sul primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, affinché consenta ai miliziani del movimento, assediati a Rafah nel sud di Gaza, di lasciare la zona incolumi.

La tregua nella Striscia di Gaza è sempre più a rischio

Insomma, tutto sembrerebbe andare per il meglio, malgrado — secondo quanto riferisce il gruppo palestinese — Israele non solo stia continuando a violare l’accordo di pace bombardando la Striscia di Gaza, ma stia anche limitando fortemente l’ingresso degli aiuti umanitari. Dall’inizio della tregua, sempre secondo Hamas, la Striscia avrebbe ricevuto “meno del 28 per cento” degli aiuti umanitari previsti dal piano di pace di Donald Trump. Nel dettaglio, sarebbero stati soltanto 4.453 i camion entrati nell’enclave palestinese su un totale di 15.600 previsti, con una media giornaliera di circa 171 camion anziché i 600 stabiliti.

Un atteggiamento che il movimento non ha esitato a definire parte della “politica di strangolamento, fame, pressione umanitaria e ricatto politico” che Israele starebbe portando avanti ai danni dei 2,4 milioni di abitanti della Striscia.

Da parte israeliana non è giunta una risposta ufficiale a tali accuse, ma è stata annunciata la chiusura dei valichi di frontiera tra Egitto e Striscia di Gaza, in particolare quelli di Kerem Shalom e Al-Awja. La misura — secondo la Mezzaluna Rossa egiziana — sarebbe stata giustificata con la celebrazione di una festività sia in Israele che in Egitto, anche se si teme che questo stop possa protrarsi nei prossimi giorni, rendendo ancora più drammatiche le condizioni di vita dei civili palestinesi.

Il sogno perduto

Come se non bastasse, il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha ordinato alle Forze di difesa israeliane (Idf) di distruggere “tutti i tunnel del terrore” nella Striscia di Gaza e di dare la caccia ai combattenti intrappolati al loro interno. “Se non ci sono tunnel, non c’è Hamas”, ha scritto Katz sul social X.

Poco dopo queste dichiarazioni, sono ripresi i raid aerei israeliani su diversi obiettivi nella Striscia, in particolare nella città di Khan Yunis, dove colpi d’artiglieria hanno raggiunto le zone periferiche di Bani Suheila. Sono stati segnalati bombardamenti anche nell’area orientale della città.

Violenti attacchi che hanno suscitato la dura condanna delle Nazioni Unite, giunta attraverso un comunicato del portavoce Farhan Haq, il quale ha parlato di “detonazioni di edifici residenziali in diverse aree dove l’esercito israeliano è ancora dispiegato”, citando in particolare le aree di Khan Yunis, Gaza e Rafah.

Una spirale d’odio che, per il presidente palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), sarà difficile da superare in tempi brevi. “L’accordo di Oslo è stato un punto di svolta storico”, ha spiegato il leader dell’Anp, “tuttavia i governi israeliani successivi hanno svuotato quel sogno di pace”, criticando duramente l’esecutivo Netanyahu, che a suo dire avrebbe adottato misure discriminatorie, pratiche di pulizia etnica e aggressioni in violazione del diritto internazionale.

Il Libano brucia

Intanto, la tensione cresce anche al confine con il Libano. Le Idf hanno condotto una serie di attacchi contro il movimento Hezbollah nel sud del Paese, prendendo di mira edifici e postazioni nei pressi della “Linea Blu”, la zona cuscinetto controllata dalla missione Unifil.

Le forze di interposizione delle Nazioni Unite hanno condannato le operazioni militari israeliane in Libano, affermando che tali azioni rischiano di riaccendere un conflitto su più ampia scala. L’Onu ha richiamato entrambe le parti “al rispetto della Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza” e ha chiesto l’immediata cessazione delle ostilità per evitare una possibile escalation del conflitto mediorientale.