Trema Befera. Vigilantes a casa, pagano i contribuenti

di Sergio Patti

Tutti gli atti sono secretati. Al Tribunale di Roma l’ordine è perentorio: bocche cucite. Ma nonostante il nome non compaia nel registro degli indagati, un dossier è sul tavolo del Procuratore Capo di Roma Giuseppe Pignatone. Altra città, altra inchiesta: anche a Firenze nel palazzo di giustizia riecheggia lo stesso nome. Fascicoli su uno degli uomini più temuti e detestati in Italia: il direttore generale dell’Agenzia delle Entrate e soprattutto presidente di Equitalia Attilio Befera.
L’uomo diventato un incubo per milioni di imprese e famiglie per la ruvidità del Fisco, per le cartelle pazze, per gli interessi da usura applicati dalla società di riscossione delle tasse potrebbe avere anche lui qualcosa da nascondere.
Due, distinte e separate, le vicende nel mirino dei magistrati. Partiamo dalla capitale. Qui la storia parte dallo strano iter di un appalto milionario. L’Agenzia delle Entrate vuole dotarsi di maggiore sicurezza e bandisce una gara pubblica per un servizio di sorveglianza privata.

Gara da 13 milioni
Siamo alla fine del 2011 e l’importo messo in bilancio per questo servizio si aggira sui 13 milioni di euro solo per gli uffici di Lazio e Sardegna. Passano solo pochi giorni dalla pubblicazione dell’avviso di gara (Gazzetta dell’Unione Europea del 14 dicembre 2011) e l’amministrazione ritira il bando. Il motivo è una generica necessità di rivedere il capitolato di gara. Cambiato l’oggetto, l’affidamento con i nuovi criteri viene assegnato l’anno scorso. Una bella commessa per la società che firma il contratto. Società che nello stesso periodo iniziano il servizio di tutela nelle sedi dell’Agenzia e stranamente anche sotto l’abitazione privata del direttore generale. Befera non è un funzionario privo di tutela. Dopo le minacce e gli attentati alle sedi dell’Agenzia in molte parti d’Italia, è stato attivato un servizio di scorta. Evidentemente poco per il dirigente che a spese dei contribuenti si è portato a casa sua un servizio privato pagato dall’ufficio.
Ora, se un qualunque dipendente pubblico si portasse a casa i computer o altri beni e servizi forniti dal datore di lavoro, quantomeno incorrerebbe nell’accusa di interesse privato in atti d’ufficio o abuso d’ufficio. Se poi il servizio in questione è stato acquistato da un’amministrazione con una modalità che lascia più di una sensazione di essere stata costruita su misura per ottenere un vantaggio privato, allora è naturale veder sorgere l’ombra di un sospetto.

Cresce il nervosismo
Dal Tevere all’Arno, sull’altro fronte che chiama in causa l’Agenzia delle Entrate di zone d’ombra ce ne sono anche di più. Tanto che il 27 febbraio scorso a Firenze sono cominciate a scattare le manette. L’inchiesta che ha portato in carcere il direttore provinciale dell’Agenzia delle Entrate locale, Nunzio Garagozzo, (vedi pagina accanto) insieme al commercialista Silvio Mencucci, suffragata da numerose intercettazioni, è di concussione e induzione alla corruzione. Secondo i magistrati, il commercialista era l’intermediario di Garagozzo, che prendeva mazzette per insabbiare l’iter degli accertamenti fiscali o quantomeno per arrivare con gli atti di adesione al di sotto della soglia penale.
La vicenda ha creato un pandemonio al Ministero delle Finanze e naturalmente al vertice dell’Agenzia delle Entrate. Uffici dove è palpabile quello che si può definire quantomeno imbarazzo per un passaggio di bustarelle che fa mina profondamente la credibilità della struttura. I più nervosi sono però quei dipendenti e funzionari che conoscono a fondo gli equilibri dell’amministrazione. E che ricordano quale sia stato negli anni il rapporto tra Befera e Garagozzo, considerato uno dei funzionari più vicini al direttore, tanto da essere stato nominato al vertice dell’importante sede di Firenze.
E così al cronista della Notizia è bastato fare un “giro” all’Agenzia per percepire un grandissimo maldipancia. E indiscrezioni di ogni tipo, dalle più fantasmagoriche – che non pubblichiamo, perché prive di riscontro e dal sapore denigratorio (bisogna essere garantisti sempre) – fino a quelle più innocenti che raccontano di un Befera che cena abitualmente in un noto ristorante di Roma da dove esce senza mai pagare il conto. Un ristorante il cui titolare rimase coinvolto anni fa in un accertamento fiscale. Accertamento caduto nel vuoto.