Troppa carne al fuoco sulle riforme

di Gaetano Pedullà

Facciamo tutti un esame di coscienza. Legge elettorale, regole del Parlamento, funzionamento dello Stato: vogliamo fare le riforme o no? Se la risposta è sì dobbiamo accettare l’idea che cambiamenti così importanti oggi impongono un accordo tra i partiti. Ora c’è chi sostiene – non solo Grillo – che da una classe politica delegittimata non è possibile tirar fuori niente di buono. E purtroppo ha ragione, perché chi ha un intento profondamente riformista non può accontentarsi delle solite pastette o delle mille mediazioni (al ribasso) obbligate nell’attuale situazione del Palazzo. Da Napolitano a Letta, le riforme vanno bene ma a patto che non mettano in pericolo la stabilità di un governo già di suo in equilibrio precario. A nessuno però sfugge che il sindaco di Firenze punta a fare presto soprattutto la legge elettorale. Sostenere a lungo Palazzo Chigi rischia di sbiadire la sua stella, facendogli fare la fine di un Monti qualunque. Per questo tutta la carne messa al fuoco dal segretario del Pd puzza già di bruciato. Chiedere a Grillo un accordo per cambiare il Senato è una provocazione inutile. Presentare il Job Act, cioè una serie di modifiche sacrosante alla legislazione sul lavoro, vuol dire scatenare la Cgil e tutte le forze conservatrici (comprese quelle camuffate da progressiste). E anche sulla legge elettorale, ipotizzare sistemi che cancellerebbero un partito virtuale come il Nuovo centrodestra di Alfano significa mettere in crisi platealmente l’alleanza di governo (e dunque bloccare tutto) come ha fatto subito notare il direttore del Corriere della Sera. Così dunque si rischia di riempire l’ennesimo cassetto dei sogni, senza poi portare a casa nulla. Meglio giocare a carte scoperte, puntare onestamente a un obiettivo solo e su questo misurarsi anche a muso duro per cambiare poi sul serio quello che oggi si può solo far finta di cambiare.