Troppi rischi per il Governo, ignorato il referendum sul Jobs Act. La data per il voto non è stata ancora fissata

Invischiati tra litigi e minacce di scissione è stata persa di vista una delle sfide decisive per la tenuta del Governo: il referendum sul Jobs Act.

Invischiati tra congresso, litigi e minacce di scissione, è stata persa di vista una delle sfide decisive per la tenuta del Governo: il referendum, promosso dalla Cgil, su una parte del Jobs Act. Quello per cui il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, era disposto ad andare al voto anticipato pur di far slittare il pronunciamento degli elettori. Certo, il quesito sull’articolo 18 è stato disinnescato dalla Corte costituzionale. Ma sulla riforma tanto cara all’ex premier, Matteo Renzi, pende la minaccia di cancellazione dei voucher, oltre che sugli appalti.

Ritardo – Così Palazzo Chigi continua a prendere tempo, evitando di convocare il Consiglio dei ministri con all’ordine del giorno la decisione sul voto. La normativa prevede, infatti, che dopo la comunicazione “della sentenza della Corte costituzionale, il Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, indice con decreto il referendum, fissando la data di convocazione degli elettori in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno”. Insomma, il primo passo spetta all’Esecutivo. “Il Governo è in ritardo di oltre venti giorni: avrebbe già dovuto indire la data del referendum. È chiaro che si sta prendendo tutto il tempo, perché il Pd sta discutendo di congressi e scissioni”, ha spiegato a La Notizia il deputato di Sinistra italiana, Giorgio Airaudo, che sulla questione si sta battendo da settimane. “Al momento – ha aggiunto il parlamentare – non è possibile evitare il quesito sui voucher. Alla Camera sono depositate varie proposte di legge, che però non possono convincere la Corte a evitare il referendum. Si tratta solo di piccole modifiche. L’unica soluzione sarebbe quella di approvare il mio disegno di legge che propone l’abolizione dei voucher”. La preoccupazione dai sostenitori del referendum resta la solita: che il Governo voglia a comprimere i tempi per la campagna di informazione. Una strategia che ha funzionato con la consultazione relativa alle trivellazioni dello scorso anno, quando la partecipazione è rimasta decisamente lontana dal quorum del 50%+1.

Ragioni govenative – Le ragioni dell’attendismo del Governo sono due. La prima è che in questo momento il Pd, il partito più importante della maggioranza, è avvitato sul dibattito interno. Tanto che dall’orizzonte della discussione è sparito anche il tema del referendum. Eppure l’ex capogruppo dem alla Camera, Roberto Speranza, aveva usato la questione annunciando una battaglia politica: senza intervento sui voucher avrebbe votato Sì. Il problema è che per votare bisogna convocare gli elettori. Il secondo motivo è più legato alla sopravvivenza dell’Esecutivo presieduto da Paolo Gentiloni. Un’eventuale sconfitta sarebbe un colpo duro da assorbire per la compagina governativa. Perché se è vero che il premier è cambiato, i ministri sono sempre gli stessi. A partire da quel Poletti, che ha messo la firma sul Jobs Act.