Truffa sui rimborsi Ue, per la Comi si mette male. Chiesto il rinvio a giudizio per l’ex eurodeputata di Forza Italia

Sembrava dimenticata in un cassetto e invece l’inchiesta sulla tangentopoli lombarda, con un colpo di scena, torna alla ribalta della cronaca nazionale. Proprio ieri la procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per l’ex europarlamentare forzista Lara Comi, per il deputato azzurro Diego Sozzani, per l’esponente di Forza Italia Gioacchino Cainiello, e per altri 29 indagati. A tutti loro i magistrati milanesi contestano, a seconda delle posizioni, i reati di associazione per delinquere, turbativa d’asta, corruzione, truffa all’europarlamento e altri reati. Si tratta di una tranche della maxi inchiesta, denominata con non poca ironia “mensa dei poveri”, che un anno fa ha portato alla ribalta un sistema di mazzette per pilotare appalti e nomine in tutta la Regione. Per i pm Luigi Furno, Silvia Bonardi e Adriano Scudieri e per il procuratore aggiunto Alessandra Dolci, l’ex forzista Caianiello era il burattinaio dell’intera tangentopoli lombarda.

GROSSO GUAIO. Diversa, invece, la posizione della Comi a cui vengono contestate alcune consulenze sospette e la retrocessione di parte dello stipendio di un suo ex addetto stampa a Strasburgo a cui era stato garantito un aumento di stipendio, da mille a tremila euro. Tutto denaro rimborsato dal Parlamento europeo che, secondo i pm, anziché finire nelle tasche del giornalista andavano – per due terzi – in quelle della Comi. Carte alla mano, sembra proprio che sia stata la stessa Comi a darsi la zappa sui piedi. Finita sotto indagine e non sapendo di essere già sotto intercettazioni, conversando con un’amica si confidava a cuore aperto e senza giri di parole.

“Comunque oggi dirò che non ho mai preso 17k (17mila euro, secondo i militari), non ho mai avuto consulenze con Afol né di società a me collegate che non esistono…”. Parole che lasciavano di sasso l’interlocutrice che consigliava all’ex europarlamentare di utilizzare “Telegram che è più comodo” e di “non rispondere né al telefono, né agli sms se provengono da numeri sconosciuti, poi ti spiego”. Proprio questa conversazione, finita agli atti dell’indagine, è considerata decisiva perché questo sarebbe un passaggio chiave da cui emergerebbe con chiarezza che la Comi temeva che qualcuno l’avrebbe potuta intercettare e che per questo stava cercando un modo per eludere le eventuali indagini.