Da un lato, il valico di Rafah che Israele continua a tenere chiuso e i ritardi di Hamas nella consegna dei cadaveri degli ostaggi; dall’altro, il presidente Donald Trump che minaccia il movimento palestinese di “gravi conseguenze” se non terrà fede agli accordi e se non cesserà le esecuzioni sommarie dei dissidenti all’interno della Striscia di Gaza. Passano le ore e la tregua appare sempre più appesa a un filo.
Trump minaccia Hamas: “Restituite i cadaveri degli ostaggi e deponete le armi o vi uccideremo”
A far salire la tensione, questa volta, è stato il tycoon, che ha detto molto chiaramente: “Se i miliziani continueranno a uccidere civili, andremo lì e li uccideremo”. Parole forti che hanno fatto infuriare il mondo arabo, al punto che Trump, poche ore dopo, è tornato sui suoi passi sostenendo che “non saranno gli Usa ad andare a eliminarli”, lasciando di fatto intendere che il compito verrà affidato all’esercito di Tel Aviv, ma chiarendo anche che in ogni caso sarà lui — e non il primo ministro Benjamin Netanyahu — a prendere la decisione su eventuali blitz. Una posizione che mette in luce sia l’avventatezza del leader della Casa Bianca sia i rapporti ormai tesi con lo storico alleato mediorientale.
Quel che è certo è che le parole di Trump hanno fatto tremare Hamas che, per bocca del suo leader nella Cisgiordania occupata, Zahir Jabbarin, ha ribadito l’impegno a “rispettare i termini dell’accordo di pace stretto con Israele”, malgrado le “false accuse” che Tel Aviv sta rivolgendo alla fazione palestinese — accusata, secondo il governo di Netanyahu, di non aver consegnato tutti i corpi degli ostaggi in suo possesso.
“Come movimento, ci impegniamo a implementare l’accordo, che garantisce la cessazione della guerra, la protezione del nostro popolo dagli attacchi e l’avvio della ricostruzione”, ha affermato Jabbarin, aggiungendo che “non accettiamo alcuna tutela internazionale sul nostro popolo”, al quale deve essere “riconosciuto il diritto all’autodeterminazione e alla creazione di uno Stato indipendente”. Il movimento palestinese ha poi ribadito che la restituzione delle salme procede a rilento a causa della devastazione nella Striscia di Gaza, che rende estremamente complicato localizzare i cadaveri degli ostaggi israeliani.
L’appello dell’Onu per i civili di Gaza
Mentre la diplomazia lavora sotto traccia e la tregua, nonostante accuse e controaccuse, regge, a preoccupare è la situazione dei civili nella Striscia. Secondo quanto riferisce l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi (Unrwwa), nell’enclave palestinese è in corso una carestia disastrosa e “non siamo ancora stati autorizzati dalle autorità israeliane a far entrare aiuti nella Striscia di Gaza. Da marzo non possiamo portare forniture umanitarie”. Ad aggravare il tutto, spiega ancora l’Unrwwa, “quasi tutti i terreni agricoli a Gaza sono distrutti o inaccessibili”, e ciò rende ancor più urgente “la consegna degli aiuti umanitari” a una popolazione stremata da ben due anni di assedio.
Drammatica è anche la situazione sanitaria nella Striscia: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato un allarme sostenendo che “le malattie infettive a Gaza stanno sfuggendo al controllo”, soprattutto perché soltanto 13 dei 36 ospedali del territorio sono parzialmente funzionanti. “Che si tratti di meningite, diarrea o malattie respiratorie, stiamo parlando di un lavoro enorme”, ha dichiarato il direttore regionale dell’organismo sanitario dell’Onu, Hanan Balkhy, chiedendo alla comunità internazionale di fare pressioni sul governo di Netanyahu affinché riapra “tutti i valichi” e consenta il transito dei tir carichi di aiuti umanitari prima che sia troppo tardi.