Trump punta all’immunità: richiesta di modifica dello Statuto di Roma per impedire alla Corte penale internazionale di perseguirlo

Gli Usa chiedono di modificare lo Statuto per impedire alla Cpi ogni futura indagine sul presidente. E minacciano sanzioni

Trump punta all’immunità: richiesta di modifica dello Statuto di Roma per impedire alla Corte penale internazionale di perseguirlo

A Washington il diritto internazionale non è nemmeno “fino a un certo punto” (citazione del ministro Tajani). Dalle parti della studio ovale l’unico diritto è quello all’impunità: così gli Stati Uniti chiedono  di modificare lo Statuto di Roma per garantire che Donald Trump e i suoi vertici non possano essere perseguiti dalla Corte penale internazionale (Cpi), né ora né quando il mandato terminerà nel 2029.

È quanto emerge dallo scoop di Reuters, che ricostruisce negoziati riservati e la minaccia di nuove sanzioni contro giudici e funzionari dell’Aja se la Corte non accetterà di blindarsi da eventuali indagini future. Le richieste statunitensi sono tre: lo stop formale all’indagine sui militari americani in Afghanistan, la chiusura del fascicolo sui leader israeliani per la guerra a Gaza e un emendamento che impedisca di processare il presidente.

È l’ultima richiesta, naturalmente, quella che orienta tutto il resto. Nelle conversazioni informali del diritto internazionale compare l’idea che la Cpi potrebbe valutare un’azione su Trump nel 2029, e a Washington nessuno vuole correre il rischio.

La minaccia delle sanzioni e il precedente afghano

L’amministrazione Trump ha già colpito duramente la Corte in passato. All’inizio dell’anno ha imposto sanzioni personali a nove giudici della Cpi, accusati di voler esercitare una giurisdizione «illegittima» sugli Stati Uniti e su Israele. Adesso il livello sale: prendere di mira la Corte come istituzione, congelandone conti, software, operatività quotidiana. Una misura che paralizzerebbe il tribunale proprio mentre indaga su crimini di guerra commessi in territori che fanno parte dello Statuto.

Dentro lo scoop c’è un dettaglio decisivo. L’emendamento richiesto richiederebbe l’approvazione dei due terzi degli Stati parte, e persino maggioranze più alte se la modifica toccasse la giurisdizione. Washington sta chiedendo al mondo di cambiare le regole per garantire un’eccezione personale a un presidente. È un intervento che incide sul principio cardine della Cpi: la possibilità di perseguire chiunque, anche capi di Stato.

Lo scenario del 2029 e la tentazione dell’immunità

La preoccupazione non nasce dal nulla. Da settembre 2025 le forze armate statunitensi conducono una campagna di attacchi contro presunte imbarcazioni di narcotrafficanti nei Caraibi e nel Pacifico latinoamericano: oltre ottanta morti, due sopravvissuti che secondo alcune ricostruzioni sarebbero stati uccisi dopo il bombardamento, un’inchiesta annunciata al Congresso. La Casa Bianca difende l’operazione come rispettosa del diritto internazionale, ma il quadro alimenta interrogativi sul futuro giudiziario della catena di comando.

Nel frattempo la Corte mantiene il profilo istituzionale: ricorda che gli emendamenti allo Statuto sono prerogativa degli Stati parte e non commenta altro. Ma il silenzio non elimina la domanda che attraversa l’Aja. Cosa resta della responsabilità internazionale se un presidente chiede garanzie di impunità prima ancora che esista un’indagine?

La storia recente mostra rapporti oscillanti tra Washington e la Cpi, fra distanza e ritorsione. Questa volta, però, la mossa è più netta. Non si tratta di una disputa giuridica ma della costruzione preventiva di un perimetro di immunità personale. Quando una democrazia comincia a modulare le norme globali per proteggere il proprio leader da possibili processi futuri, racconta molto della traiettoria che ha imboccato. Anche più di quanto dichiara. Forse anche per questo Trump è così invidiato dai governanti delle nostre parti.