Trump valuta l’opzione militare e intima la resa di Teheran

Il tycoon ha firmato la nota congiunta al G7 canadese solo dopo aver piegato gli alleati alla sua linea pro Netanyahu

Trump valuta l’opzione militare e intima la resa di Teheran

Donald Trump riunisce il suo team di sicurezza nella Situation Room della Casa Bianca dopo aver abbandonato anticipatamente il G7 canadese. E valuta l’ipotesi di entrare in guerra con Israele contro l’Iran, pur avendo sempre promesso in campagna elettorale di voler evitare nuovi conflitti per gli Usa.

Su Truth ha già chiesto una “resa incondizionata” della Repubblica Islamica, dopo aver invitato tutti ad evacuare Teheran e avvisato che “ora abbiamo il controllo completo e totale dei cieli sopra l’Iran” grazie alla superiorità tecnologica militare Usa. Minacciato anche Ali Khamenei: “sappiamo esattamente dove si nasconde il cosiddetto ‘Leader Supremo’. È un bersaglio facile, ma lì è al sicuro. Non lo elimineremo (non lo uccideremo!), almeno non per ora. Ma non vogliamo che i missili vengano lanciati contro i civili o i soldati americani. La nostra pazienza sta per esaurirsi”.

Sul tavolo l’opzione di lanciare un attacco americano contro le infrastrutture nucleari iraniane

Sul tavolo l’opzione di lanciare un attacco americano contro le infrastrutture nucleari iraniane, in particolare l’impianto sotterraneo di arricchimento dell’uranio di Fordow. Funzionari iraniani hanno già avvertito che la partecipazione degli Stati Uniti a un attacco ai suoi impianti metterebbe a repentaglio ogni residua possibilità di raggiungere l’accordo sul disarmo nucleare che Trump dice di voler ancora perseguire.

Finora, gli Stati Uniti hanno aiutato Israele a difendersi dai missili in arrivo, ma si sono rifiutati di partecipare a operazioni offensive. Nel giro di pochi giorni, però, si è passati dalla linea “Non è una nostra operazione” a “Noi ora controlliamo i cieli iraniani”.

Trump deve fare i conti con il Congresso, dove un gruppo bipartisan di deputati ha presentato una risoluzione che vieta alle “forze armate americane di intraprendere ostilità non autorizzate contro la Repubblica Islamica dell’Iran”, perché “la Costituzione non consente al potere esecutivo di commettere unilateralmente un atto di guerra contro un Paese che non ha attaccato gli Stati Uniti”.

La Russia chiede a Israele di “tornare in sé”

La Russia chiede a Israele di “tornare in sé” e “cessare immediatamente gli attacchi ad installazioni e siti nucleari iraniani” che “creano rischi inaccettabili alla sicurezza internazionale e spingono il mondo verso una catastrofe nucleare”. Mentre il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha riconosciuto che Israele “sta facendo il lavoro sporco per tutti noi” in Iran.

Che Trump avesse preso una piega dura si era già capito al G7. I leader, solo aggiustando il linguaggio della bozza, erano riusciti a convincere il presidente americano a firmare una “dichiarazione sui recenti sviluppi tra Israele e Iran”, dopo il suo iniziale rifiuto.

Trump piega il G7 alla sua linea pro-Bibi

Nella premessa i sette ribadiscono il loro “impegno per la pace e la stabilità in Medio Oriente” e affermano in questo contesto che “Israele ha il diritto di difendersi”, confermando il loro “sostegno alla sicurezza di Israele” ma affermando “anche l’importanza della protezione dei civili”.

Quindi hanno puntato il dito contro Teheran accusandolo di essere “la principale fonte di instabilità e terrore nella regione” e ricordando di aver sempre “affermato con chiarezza che l’Iran non deve mai ottenere un’arma nucleare”. Quindi il passaggio chiave, dopo la modifica della formulazione iniziale che prevedeva solo un appello alla de-escalation del conflitto tra Israele e Iran: “sollecitiamo che la risoluzione della crisi iraniana porti a una più ampia de-escalation delle ostilità in Medio Oriente, compreso un cessate il fuoco a Gaza”.

Infine l’assicurazione che “resteremo vigili rispetto alle implicazioni per i mercati energetici internazionali e pronti a coordinarci, anche con partner che condividono i nostri stessi valori, per tutelare la stabilità del mercato”.

Un primo successo del premier Mark Carney, padrone di casa del G7, e del coordinamento degli alleati, che hanno tessuto una paziente tela diplomatica, salvando per ora l’unità del gruppo. Ma di fatto piegandosi alla linea di Trump che voleva evitare un appello diretto ai due contendenti in una fase in cui la soverchiante potenza di fuoco israeliana può costringere Teheran ad un accordo. O a una “resa incondizionata”, come ha chiesto ieri.

L’iniziale appello per la de-escalation da entrambe le parti è stato diluito

Ecco quindi che l’iniziale appello per la de-escalation da entrambe le parti è stato diluito accogliendo espliciti riferimenti alla sicurezza di Israele e alla minaccia dell’Iran, che ha reagito duramente alle conclusioni del G7, accusato di “ignorare la spudorata e illegale aggressione” dello Stato ebraico, nonché “le vittime civili e i danni alle infrastrutture pubbliche” provocate dai suoi attacchi.

Trump ha poi smentito in un post sul suo social Truth la notizia secondo cui il suo ritorno anticipato a Washington dal G7 in Canada fosse per lavorare a un cessate il fuoco fra Iran e Israele.