Tsunami sui dirigenti del Tesoro. In molti siedono anche negli organi di controllo, in posizione di conflitto di interesse. I casi di finmeccanica, Eni, Poste e Ferrovie

di Stefano Sansonetti

Uno tsunami che minaccia di abbattersi su decine di dirigenti del Tesoro. Tutti accomunati dal trovarsi in una situazione che lambisce pericolosamente il conflitto d’interessi e la scarsa indipendenza. Al centro dell’attenzione ci sono alcune società quotate in borsa, le cui partecipazioni di controllo sono in mano al dicastero di via XX Settembre, e la composizione dei loro collegi sindacali. Nonostante i più recenti sviluppi normativi impongano il contrario, negli organi di controllo continuano a sedere in qualità di sindaci alcuni dirigenti di prima e seconda fascia del ministero dell’economia. Cioè dipendenti dello stesso azionista “ministeriale” di riferimento. Una situazione che, in base alla legge, sembrerebbe contraddire fortemente il primario requisito dell’indipendenza dei componenti del collegio sindacale. Di coloro che, in altre parole, devono svolgere il fondamentale compito di controllare. Il tutto con lo spettro della decadenza dall’incarico. Bene, le società nel mirino, in questo momento, sono Finmeccnica ed Eni. Nel collegio sindacale della prima siede Vincenzo Limone, dirigente di prima fascia del Tesoro; in quello della seconda Roberto Ferranti, altro dirigente di prima fascia di via XX Settembre. L’Enel, che ha tirato fuori l’esplosiva questione, è riuscita a tirarsi fuori in extremis. Ma in seconda battuta, stante il principio che va affermandosi per le quotate, la questione è in grado di colpire decine di sindaci delle altre controllate non quotate del Tesoro, in primis Poste, Ferrovie dello stato e Cassa depositi e prestiti.

Finmeccanica, Eni ed Enel
La vicenda è nata qualche giorno fa in casa Enel. Prima di provvedere al rinnovo del collegio sindacale, il colosso energetico guidato dall’amministratore delegato Fulvio Conti si è posto la questione: è corretto che dal Tesoro, azionista di maggioranza con il 31,2% del capitale, provengano profili da inserire nel collegio sindacale? Questione da tempo dibattuta, ma adesso riaffiorata con forza. Con una nota interna, l’Enel ha fatto un po’ il punto della situazione normativa. A far crescere la paura è in particolare il decreto legislativo 39 del 2010, che ha recepito una direttiva comunitaria sulla revisione legale dei bilanci annuali e consolidati. Ebbene, la norma sembra chiarire una volta per tutte che il dipendente di un ente pubblico di controllo, in questo caso il ministero dell’economia, non può essere sindaco di una società controllata. E se già lo è rischia la decadenza. La nota stessa auspica un intervento chiarificatore della Consob, che avrebbe proprio il potere di sancire la temuta decadenza. Ma la vicenda, naturalmente, chiama in causa il ministero del Tesoro, da poco guidato da Fabrizio Saccomanni. Secondo quanto risulta a La Notizia proprio il Tesoro e la Consob (peraltro guidata da un ex viceministro dell’economia come Giusppe Vegas) si starebbero confrontando su come disinnescare la mina. L’Enel, dal canto suo, si è tirata fuori nominando nel collegio sindacale soggetti non dipendenti dal Tesoro. Ma come detto altri dirigenti di spicco sono tutt’ora in Finmeccanica ed Eni. E potrebbero rischiare grosso.

Le altre spa pubbliche

Senza contare che se il principio vale per le quotate, non può non valere per le società non quotate controllate dal ministero dell’economia. Qualche esempio? Il collegio sindacale delle Ferrovie è presieduto da Alessandra Dal Verme, dirigente di prima fascia del Tesoro (Ragioneria dello stato). Nello stesso collegio, come sindaci supplenti, ci sono Cinzia Simeone e Paolo Castaldi, altri dirigenti di via XX Settembre. Nell’organo di controllo delle Poste siede Vinca Maria Sant’Elia, altro funzionario di vertice del Tesoro. Tra i sindaci della Cassa depositi e prestiti troviamo Ines Russo e Angela Salvini, dirigenti rispettivamente di prima e seconda fascia al Mef. Al Poligrafico su 5 sindaci quattro sono dipendenti del Tesoro (Pietro Voci, Maria Cristina Bianchi, Giuseppe Cerasoli ed Enrico Gallo). E ci fermiano qui per carità di patria. Peraltro tutti, per la loro attività di sindaci, incassano un gettone che trasferiscono al ministero, dove confluisce in un fondo che poi viene redistribuito tra tutti i dipendenti che sono negli organi amministrativi e di controllo delle società controllate. La partita, quindi, ha anche il suo aspetto economico. E pure per questo sono in tanti a tremare.

@SSansonetti