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Tutti i rischi della delega sul (non) salario minimo

Approvata in via definitiva la legge delega in materia di retribuzione dei lavoratori. Che mette la parola fine sul salario minimo.

Tutti i rischi della delega sul (non) salario minimo

Stavolta non ci sono stati i brindisi che, il 18 settembre scorso a Montecitorio, hanno accompagnato il terzo via libera alla legge di riforma costituzionale sulla separazione delle carriere dei magistrati. Ma l’approvazione in via definitiva della legge delega in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva, avvenuta martedì al Senato, ha comunque provocato non poco giubilo per maggioranza e governo. In primis per aver neutralizzato la proposta con cui, da inizio legislatura, le forze di opposizione chiedevano di introdurre un salario minimo di 9 euro l’ora.

Tutto inutile: l’esecutivo considera tale misura, già esistente in 22 Paesi europei su 27, “sovietica” (sic!). Ecco, quindi, l’uso dello stratagemma della delega al governo, a cui si è giunti tramite un emendamento di FdI-Lega-FI che, a novembre di due anni fa, ha interamente riscritto il testo presentato all’unisono da M5S, Pd, Avs, Azione e +Europa con la prima firma dell’ex premier Giuseppe Conte. In commissione prima e in Aula poi, a Palazzo Madama la proposta ha ottenuto il semaforo verde senza modifiche. Fin qui, la cronaca. Ma cosa contiene, in dettaglio, il provvedimento?

Non la fissazione per legge di una soglia minima inderogabile, ça va sans dire, ma una serie di intenti tra cui “assicurare ai lavoratori trattamenti retributivi giusti ed equi”, “contrastare il lavoro sottopagato” e “stimolare il rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro”. Bene, bravi, bis. Come tramutarli in realtà, però? Udite udite: definendo, per ciascuna categoria di lavoratori, non i contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscritti dalle sigle sindacali e datoriali maggiormente e comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, bensì quelli “maggiormente applicati in riferimento al numero delle imprese e dei dipendenti”.

È “l’alba della contrattazione corsara”, come l’ha definita Emanuele Ghiani su “Il diario del lavoro”: uno scenario in cui, per un’intera categoria, un “semplice” accordo tra datori di lavoro e un sindacato compiacente può mettere fuorigioco il Ccnl firmato dalla triplice sostituendolo con uno “pirata”. Una mossa senza precedenti che espone milioni di lavoratori al rischio di veder diminuire il proprio stipendio, trasformando lo sfruttamento in legge. Durante il processo di stesura della delega, peraltro, le parti sociali non potranno mettere bocca: la norma non le nomina mai e sono stati pure bocciati gli emendamenti che chiedevano di prevedere un loro coinvolgimento. Se il buongiorno si vede dal mattino…