Uber nei guai per caporalato. Dieci gli indagati a Milano. Per i pm il colosso del food delivery sfruttava migranti come riders. Alcuni derubati anche delle mance dei clienti

La Procura di Milano ha chiuso le indagini sui rider per le consegne di cibo a domicilio che a maggio aveva portato il Tribunale meneghino a disporre, con un provvedimento mai preso prima nei confronti di una piattaforma di food delivery, il commissariamento di Uber Italy. Tra i 10 indagati figura anche il nome di Gloria Bresciani, manager del colosso americano in Italia. I rider, si legge nell’avviso di chiusura indagini, erano “pagati a cottimo 3 euro a consegna”, “derubati” delle mance e “puniti”. Stralciata, invece, la posizione di Uber Italy, indagata per la legge sulla responsabilità amministrativa e che il 22 ottobre dovrà affrontare un’udienza alla Sezione misure di prevenzione.

Bresciani è accusata di caporalato in concorso con Giuseppe e Leonardo Moltini e Danilo Donnini, responsabili delle società di intermediazione Frc e Flash Road City (la Frc è indagata per la legge sulla responsabilità amministrativa). I quattro indagati, scrive il pm Paolo Storari, “in concorso tra loro e con altre persone non identificate utilizzavano, impiegavano e reclutavano riders incaricati di trasportare a domicilio prodotti alimentari, assumendoli presso le imprese Flash Road City e FRC srl, per poi destinarli al lavoro presso il gruppo Uber in condizioni di sfruttamento”.

Gli indagati, sempre secondo quanto sostiene la Procura di Milano, avrebbero approfittato “dello stato di bisogno dei lavoratori, migranti richiedenti asilo, dimoranti presso centri di accoglienza straordinaria e provenienti da zone conflittuali (Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Gambia, Guinea, Pakistan, Bangladesh) e pertanto in condizione di estrema vulnerabilità e isolamento sociale”. In particolare, i lavoratori venivano “pagati a cottimo 3 euro a consegna , indipendentemente dalla distanza da percorrere (ritiro presso il ristoratore e consegna finale al cliente), dal tempo atmosferico, dalla fascia oraria (diurna/ notturna e giorni festivi) e pertanto in modo sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato”.

I riders venivano addirittura “derubati delle mance” che i clienti lasciavano spontaneamente “quale attestazione della bontà del servizio svolto”. E ancora “puniti” attraverso “una arbitraria decurtazione (cosiddetto malus) del compenso pattuito, qualora i riders non si fossero attenuti alle disposizioni impartite”. Nell’atto la Procura ha riportato anche un “prospetto” per mostrare la paga settimanale rapportata alle ore lavorate per alcuni rider. Uno di loro, ad esempio, per una settimana di lavoro a maggio per un totale di “68 ore” di consegne aveva incassato soltanto “179,50” euro e aveva subito un “malus”, ossia una decurtazione di 24,5 euro.