Ottimo. Donald Trump usa toni trionfalistici per descrivere l’intesa commerciale con la Cina. Al palo, ora, resta di fatto solo l’Unione europea. Il che rende ancora più opportuno un faccia a faccia tra Ursula von der Leyen e il presidente americano a margine del G7 che si terrà il 16 e 17 giugno in Canada. Sebbene Trump abbia detto di avere intenzione di inviare lettere ai partner commerciali entro una o due settimane per comunicare nuove tariffe imposte unilateralmente, in vista della deadline del 9 luglio.
“A un certo punto – ha detto il presidente – invieremo semplicemente le lettere. E diremo: questo è l’accordo, prendere o lasciare”, ha spiegato.
La strategia dell’Ue con gli Usa: più spese per la difesa in cambio di meno dazi
La Commissione europea punta per far decolarre i negoziati con gli Usa sull’intreccio tra il dossier commerciale e quello della difesa. Tradotto: un’estrema disponibilità dei Paesi europei ad aumentare le spese per la Nato potrebbe essere decisiva per un accordo anche sui dazi.
Anche per questo più che al G7 si punta al vertice Nato dell’Aja come cornice di un’intesa politica tra von der Leyen e Trump. Lo stesso ministro degli Esteri Antonio Tajani ha detto: “Aumentare i dazi e aumentare le spese per la sicurezza sono due cose che vanno in contrasto tra di loro, quindi è difficile poter raggiungere alcuni obiettivi se c’è un incremento dei tassi”.
L’allarme del Censis-Confcooperative sulle ripercussioni dei dazi saull’economia italiana
Intanto un report di Censis Confcooperative lancia l’allarme sulle ricadute dei dazi sulla già fragile economia italiana. “I dazi americani mettono a rischio 68.280 posti di lavoro e potrebbero costare all’Italia 18 miliardi di euro di produzione: il 25% del totale dell’export verso gli Usa”, ha detto Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, commentando il report.
A pagare il prezzo più alto potrebbero essere il food con 6.380 posti a rischio tra produzione e industria alimentare; la fabbricazione di macchinari e apparecchiature, (5.000 posti a rischio), la produzione di metalli (-4.950), il tessile e l’abbigliamento (-4.800). Secondo Gardini, “bisogna lavorare su due fronti: da un lato l’azione diplomatica è l’unica che possa sciogliere questo nodo. Dall’altra occorre un lavoro incessante di governo, istituzioni e imprese per aprire nuovi mercati”.
Ma dice il presidente di Confcooperative: “all’Europa continua a mancare una visione politica ed economica di sistema”. “Se riuscisse ad abbattere le barriere interne, la produttività aumenterebbe del 7% nel lungo periodo riducendo il gap con l’economia americana”.
Secondo il Fmi, infatti, gli ostacoli burocratici e normativi equivalgono a un dazio del 44% sugli scambi di beni tra Stati membri e del 110% sui servizi.
I dazi colpirebbero trasversalmente tutta l’economia italiana
Il report Censis-Confcooperative evidenzia come i dazi colpirebbero trasversalmente l’economia italiana, investendo anche settori apparentemente lontani dal commercio internazionale. Tra i più esposti figurano infatti la produzione agricola (-3.560 posti a cui vanno aggiunti i -2.820 dell’industria alimentare), il commercio all’ingrosso (-3.260), i servizi amministrativi e di supporto alle imprese (-3.210) e persino i servizi legali e contabili (-2.630).
Non si tratta solo di numeri – sottolinea il Focus – questi settori rappresentano interi territori produttivi, spesso costituiti da piccole e medie imprese, dove la perdita anche di poche centinaia di posti può tradursi in chiusure aziendali e impoverimento strutturale.
Il quadro si inserisce in un contesto già complesso per l’export italiano. A febbraio si è registrata una contrazione del -9,6% dell’export italiano verso gli USA rispetto allo stesso mese del 2024, a marzo +41,2%, e infine ad aprile -1,9%. Una dinamica tipica dei contesti ad alta volatilità: una forma di stress commerciale indotto non dai dazi in sé, ma dalla loro semplice possibilità.
Un segnale che si riflette nell’indice di incertezza sulla politica commerciale globale, schizzato a marzo 2025 a 603 punti (contro una media storica di 40) per poi raddoppiare ad aprile, toccando quota 1.151.
A pagare pegno il surplus commerciale italiano con gli Usa
L’eventuale introduzione di dazi colpirebbe duramente il surplus commerciale italiano con gli Usa, pari a 38,87 miliardi di euro nel 2024. I settori più vulnerabili – secondo l’analisi – perderebbero complessivamente 17,9 miliardi di euro di produzione, con il 71,6% del danno concentrato sui primi 15 comparti.
A rendere ancora più fragile la posizione italiana contribuisce la doppia dipendenza energetica: dai costi dell’energia elettrica (0,1660 €/kWh contro i 0,1280 della Spagna) e dalle terre rare, materiali strategici per l’elettronica e l’automotive elettrico.
Mentre la Cina controlla il 69,2% della produzione mondiale di terre rare, l’Italia dipende paradossalmente dagli Stati Uniti per il 65,7% delle sue importazioni di questi materiali critici.