Roma capitale d’Europa

Arriva il semestre Ue. Ma siamo già in affanno

di Angelo Perfetti

Sono quasi 70 milioni; più di dieci milioni al mese. È la pioggia di soldi stanziata dal governo per la presidenza dell’Unione Europea che, per il semestre luglio-dicembre 2014, spetterà all’Italia. Eppure, a fronte di tanto investimento, arriviamo all’appuntamento con il solito italico ritardo. Dal prossimo 1 luglio la presidenza del Consiglio Ue spetterà a noi, e in nome di questa chance europea (o per meglio dire con lo spauracchio di arrivarci con un Paese dilaniato dall’incertezza politica ed economica) nei mesi scorsi abbiamo immolato governi, tartassato le tasche degli italiani, spinto l’acceleratore sulla revisione di spesa pubblica. Il risultato non è incoraggiante: le casse pubbliche sono ancora vuote, la disoccupazione è a livelli record, il numero delle imprese che chiudono è devastante, e la spending review prosegue anche nell’organizzazione del semestre. Non a caso il sito ufficiale è solo in italiano e in inglese, il minimo sindacale per essere definito un sito internazionale, ma lontano anni luce da quel concetto multi-linguistico e multiculturale che l’Italia da sempre propone, almeno a parole. Ma è l’aspetto minore, anche se il più visibile da qualunque pc del pianeta.

Le procedure di infrazione
Più grave è l’aspetto della pioggia di infrazione in carico al Belpaese. Ci presentiamo a guidare l’Ue come i più svogliati della classe. In ordine di tempo l’ultima tegola, che ha fatto molto rumore, è quella sui debiti della Pubblica amministrazione. Ma è solo l’ultima, appunto. Tra le procedure di infrazione aperte dall’Unione Europea nei confronti dell’Italia c’è di tutto: dall’Ilva di Taranto alla discarica di Malagrotta, passando per le galline ovaiole e il numero dei giocatori di pallanuoto. Ed è record. Secondo l’ultimo rapporto di fine anno il nostro Paese detiene il maggior numero di procedure aperte. E allora erano “solo” 104. Dopo l’ultimo aggiornamento del 23 e 24 gennaio sono salite a 119 dato che, a fronte di due archiviazioni, la Commissione ha deciso di aprirne 17 nuove di zecca. Totale, come detto, 119 procedure, di cui 81 riguardanti casi di violazione del diritto dell’Unione e 38 il mancato recepimento di direttive. E il rischio, ora, è che la negligenza delle istituzioni venga pagata a caro prezzo dai contribuenti.

I finanziamenti
All’articolo 9 della legge di stabilità voluta da Monti. Si legge: “per assicurare il tempestivo adempimento degli indifferibili impegni connessi con l’organizzazione e lo svolgimento del semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea del 2014 […] è autorizzata la spesa di euro 56.000.000 per l’anno 2014 e di euro 2.000.000 per l’anno 2015”. 58 milioni: quasi il doppio di quanto destinato per l’emergenza in Sardegna. Non solo. Nemmeno il tempo di chiedersi perché mai, ad esempio, si sia deciso di stanziare 2 milioni anche per il 2015 nonostante la presidenza italiana abbia termine a dicembre 2014, che scorrendo l’articolo troviamo altre lauti finanziamenti.

Esigenze straordinarie
Se qualcuno, infatti, pensava che questi 58 milioni servissero per assumere personale, deve immediatamente ricredersi. Già, perché “per le straordinarie esigenze di servizio della Rappresentanza Permanente a Bruxelles connesse con il semestre italiano di presidenza del Consiglio dell’Unione Europea, è autorizzata per l’anno 2014 […] nei limiti di 1.032.022 euro, la spesa per l’assunzione di personale”. Finita qui? Certo che no. Per essere proprio sicuri che non manchi nulla, ecco istituito anche un “fondo con una dotazione di 10 milioni di euro” presso il ministero degli Esteri. Ovviamente, ancora “per le iniziative connesse con il semestre di presidenza”. Ergo: 69 milioni e rotti per sei mesi a Bruxelles. In attesa dei risultati, resta l’agenda di appuntamenti europei: il Consiglio del 26 e 27, il discorso a Strasburgo il 2 luglio e l’incontro a Roma con la commissione Ue il 4 luglio.

A Bruxelles la solita ministra. Le priorità: crescita e lavoro
La Merkel apre sui vincoli. Ma nessuna concessione vera
E anche l’Italia presenta un’agenda fatta solo di slogan

di Fabrizio Gentile

Renzi chiama, la Merkel risponde. O almeno così ci vogliono far credere perché così si rilancia l’economia e si blinda l’esecutivo. Ma le aperture della Germania sulla linea Maginot del 3% debito-pil che tanto spaventa l’Italia sono più di forma che di sostanza. Punto di partenza è un documento che il governo italiano ha consegnato al presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, dove si sottolinea che “è arrivato il tempo di ripensare una più efficace strategia politica per riportare la crescita, creare posti di lavoro e promuovere la coesione”. Che novità, verrebbe da dire. Analisi generiche su temi generici, evidentemente importanti ma altrettanto evidentemente difficili da affrontare con la cronica carenza di risorse dell’Italia. Van Rompuy risponde a stretto giro di posta: “L’Unione deve fare passi coraggiosi per accelerare gli investimenti, creare occupazione e incoraggiare le riforme per la competitività”. Né più né meno di quanto scritto nella bozza delle ricette suggerite dal documento che lo staff del presidente del Consiglio europeo sta mettendo a punto.
Lo scoglio del 3%
Ma il punto vero non sono le generiche intenzioni di sviluppo, bensì come farle. E sul tappeto c’è, come detto, il rapporto deficit/pil al 3%. Un dogma fino a oggi mai superato. Le economie europee per Renzi devono “continuare a perseguire le riforme strutturali”, partendo dall’uso “pieno” della flessibilità intrinseca delle norme del patto di stabilità e crescita. Dalla Germania il portavoce del cancelliere tedesco, Steffen Seibert, chiarisce che per la Merkel esiste un margine di flessibilità nell’applicazione del Patto di stabilità. E tutti a gridare al miracolo. Poi però, passata l’euforia del gol, si rivede l’azione al rallentatore: “È possibile prorogare i termini, cosa già accaduta in passato”, ha spiegato Seibert. Cioè non aspettatevi nulla di nuovo rispetto a ciò che già si conosce. Seibert ha fatto riferimento alla cosiddetta clausola per gli investimenti che consente ai paesi con deficit inferiore al 3 per cento del Prodotto interno lordo di deviare temporaneamente dalla politica di consolidamento per realizzare investimenti pubblici che favoriscano il rilancio dell’economia. Ma, ha chiarito, “la credibilità deriva dal rispetto delle regole che ci si è dati”. E le regole che l’Europa si è data vedono appunto il limite del 3% come inderogabile. Per chi è già sotto il 3% nel rapporto deficit-pil c’è
già la possibilità’ di scorporare “in certi casi” il costo di “grandi riforme strutturali che abbiano effetti positivi di lungo termine sul bilancio pubblico”. Ma per brevi periodi e con un rientro stabilito. Altro che maglie allargate…

Il nodo politico
Nel vertice europeo del 26 e 27 giugno occorrerà fare passi avanti sulle nomine dei vertici Ue. E in quell’ottica Merkel – che sul piano interno ha già imposto alla Spd la riconferma del commissario tedesco uscente Guenther Oettinger (Cdu) – ha bisogno del pieno appoggio dei governi italiano e francese. Di qui la mano tesa, soprattutto a Parigi, sulla flessibilità. Il punto d’incontro tra rigore e crescita, però, non potrà trovarsi al di fuori del Patto di stabilità e dalle sue recenti revisioni, perché – come detto – la credibilità deriva dal rispetto delle regole che ci si è dati. Su questo tutte le cancellerie sono concordi. Sarà l’agenda programmatica per i prossimi 5 anni di ‘governo europeo’, inviata ieri agli esecutivi Ue dal presidente del Consiglio europeo Herman van Rompuy, a dover trovare la formula giusta per permettere a ciascun governo nazionale di rivendicare il proprio (parziale) successo.