L’ultima sfida di Di Maio. Subito il taglio dei parlamentari. Matteo si crede Mattarella. Ma sul voto decide il Colle

Se non fosse tutto vero, ci sarebbe da ridere. Il Carroccio ieri ha fatto la sua ultima – e scontata – mossa, presentando in Senato la mozione di sfiducia nei confronti del premier Giuseppe Conte e, di conseguenza, del governo del cambiamento. Così si scopre che la goccia che ha fatto traboccare il vaso non sono stati, come Matteo Salvini va raccontando da giorni in giro per l’Italia, i “troppi no che fanno male all’Italia” ma “il Presidente del Consiglio”. Anzi, con non poco stupore, emerge chiaramente che la posizione di Conte è l’argomentazione principale della mozione di sfiducia.

Proprio così la causa scatenante della crisi, secondo il Carroccio, è attribuibile al premier perché reo, reggetevi forte, di “non esser stato presente in Aula nel momento delle votazioni sulle mozioni” sull’Alta velocità “per ribadire l’indirizzo favorevole alla realizzazione dell’opera”. Sembra quasi di riavvolgere il nastro della storia per tornare al tempo in cui bastava un pretesto qualsiasi, indipendentemente dalla gravità o dalla verità del fatto, per giustificare una guerra. Già perché quanto si contesta a Conte non è di aver tenuto posizioni ostili alla linea leghista, semmai sul Tav a lamentarsi potevano essere i grillini visto che sull’opera aveva dato il suo benestare, ma il non averle ribadite in Aula.

Un’onta imperdonabile per il Capitano che, nel giorno del trionfo delle mozioni leghiste e di tutto il resto dell’arco parlamentare sulla Torino-Lione, ha deciso di staccare la spina al governo del cambiamento. Ma guai a pensare che si sia trattato di una mossa di pancia perché a dispetto di quanto possa dire il ministro dell’Interno, la scelta dei tempi risponde a precise logiche elettorali ed è stata chiaramente ponderata. La cosa bella è che lo si legge tra le righe anche quando ieri, nell’ennesimo tentativo di condizionare il timing della crisi, pur non avendone alcun diritto, ha raccontato dalla spiaggia di Termoli: “Tutti i parlamentari della Lega saranno a Roma da lunedì.

Ci sono martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato e domenica. Non esiste che non si possa far lavorare i parlamentari a Ferragosto: alzano il culo e lavorano anche a ferragosto”. Ma c’è di più perché ieri ha anche raccontato di sentire “che ci sono toni simili tra Pd e M5s. Spero che nessuno stia pensando di tirarla in lungo”, salvo poi venir smentito da Luigi Di Maio con un’eloquente nota: “Inventatene un’altra per giustificare quello che hai fatto, giullare”

SEMBRA DI SENTIRE IL CAV. Intanto Salvini continua la sua cavalcata trionfale a suon di comizi, in una campagna elettorale che prosegue ininterrotta da oltre un anno, che ieri hanno toccato Campobasso e Foggia mentre oggi sarà la volta della Basilicata e della Calabria. Uno show continuo in cui, più o meno tra le righe, il leghista ha spiegato i punti del suo futuro programma e che sembrano sempre più simili a quelli del primo Silvio Berlusconi. Infatti, quasi in una citazione d’autore, ha tuonato: “Il prossimo governo interverrà, i giudici sono pro migranti. No a una repubblica giudiziaria”. Una riforma che non può che preoccupare perché tra i punti citati nei suoi comizi dovrà depotenziare le intercettazioni, portare alla separazione delle carriere dei magistrati e punirli severamente quando sbagliano. Non solo. Per Salvini bisogna “superare alcune fattispecie come l’abuso d’ufficio e il danno erariale (…) che stanno ingessando il Paese”.