Un altro senatore leghista nei guai. Alla Camera scoppia il caso Marti. L’onorevole è indagato per abuso d’ufficio e peculato

Alla Giunta per le Autorizzazioni di Montecitorio la richiesta di utilizzare le intercettazioni che vedono coinvolto il senatore Roberto Marti

Proprio mentre al Senato incombe il caso Diciotti, un altro caso a metà tra politica e magistratura scoppia alla Camera. Nel silenzio generale, infatti, è arrivata alla Giunta per le Autorizzazioni di Montecitorio la richiesta di utilizzare le intercettazioni telefoniche che vedono coinvolto il senatore della Lega Roberto Marti. L’inchiesta per cui oggi Marti è indagato per reati che vanno dal tentato abuso d’ufficio al tentato peculato, è scoppiata lo scorso settembre a Lecce, città natale del politico: voti elettorali sarebbero stati scambiati con alloggi popolari.

Gli indagati, secondo l’accusa, si spendevano per procacciare voti in favore dei candidati del proprio partito, per aumentare il proprio peso all’interno di esso e nei confronti del leader. Al centro dell’indagine, anche Marti, che è stato assessore al Comune di Lecce dal 2004 e il 2010, nella giunta di centrodestra guidata all’epoca dal sindaco Paolo Perrone.

La vicenda è piuttosto delicata, considerando peraltro che Marti avrebbe avuto un ruolo, secondo l’accusa, nell’assegnazione di una casa confiscata alla mafia, ad Antonio Briganti, fratello proprio del boss della Sacra Corona Unita leccese Maurizio. Tutto, ovviamente, da dimostrare. Ma nell’inchiesta avrebbero avuto peso alcune intercettazioni finite agli atti. Come scritto nella documentazione consegnata ora alla Camera, i legali dell’indagato si sarebbero opposti all’utilizzo di quelle intercettazioni, perché a loro dire non sarebbero state “casuali” ma compiute su utenze o in luoghi riferibili, direttamente o indirettamente, al parlamentare.

In altre parole, secondo i legali si sarebbero intercettate persone vicine a Marti per “sondare” anche il parlamentare. E, dunque, sarebbe stata necessaria l’autorizzazione “preventiva” della Camera di appartenenza. In quel caso Montecitorio, considerando che all’epoca dei fatti Marti era deputato con Forza Italia (transitato poi nei Cor di Raffaele Fitto prima di accasarsi nel Carroccio). Una tesi, però, rigettata dal gip Giovanni Gallo che ha accolto la richiesta del pm per l’utilizzo delle intercettazioni, inviando, ora, richiesta a Montecitorio per l’ultima parola.

Nella documentazione spuntano ad esempio alcuni sms che “documentano il diretto coinvolgimento di Marti nella vicenda di Briganti Antonio” e diverse intercettazioni che testimoniano gli stretti rapporti tra Marti e gli ex assessori (anche loro indagati) Attilio Monosi e Luca Pasqualini. Anzi, ci sono messaggi che testimonierebbero “i rapporti di forza” tra Marti e gli “amministratori coinvolti nell’associazione per delinquere” e l’interesse dello stesso Marti “nelle vicende riguardanti la gestione delle case popolari”. Si tratta, dunque, di conversazioni che rivelano “il fortissimo interesse di Marti Roberto a risolvere il problema dell’assegnazione dell’immobile a Briganti Antonio”.

A questo punto, però, la domanda è d’obbligo: cosa faranno i 5 Stelle membri di Giunta? I rapporti di forza sono molto chiari. Considerando che potenzialmente i deputati di FI, FdI e Lega potrebbero votare (ma non è detto, ovviamente) contro l’autorizzazione all’uso delle intercettazioni, si arriva a 9 parlamentari contro gli 11 di Pd e M5S (resta fuori dal conto solo Catello Vitiello, il massone ex Cinque stelle, ora nel Misto). Parliamo evidentemente di una vicenda diversa da quella più “politica” del caso Diciotti. Vedremo se lo sarà fino in fondo.