Un anno di Pd in Campidoglio e Roma è già nell’abisso: con il caso Ruberti nella Capitale è tornato il solito sistema

Un anno di Pd in Campidoglio e Roma è già nell’abisso: con il video shock del braccio destro di Gualtieri è tornato il vecchio sistema

Non c’è solo il termovalorizzatore che è stato negato mille volte in campagna elettorale e poi riproposto dal sindaco Roberto Gualtieri con la nonchalance di chi non deve mai spiegazioni ai suoi elettori nella Roma “ripresa” in mano dal Pd.

E non c’è, come se non bastasse, una sporcizia identica a prima ma che in questo caso profuma poiché gli accaniti osservatori dell’igiene cittadina improvvisamente sono diventati sbadati e svogliati.

Ritorno al sistema Capitale

Nella rissa di Albino Ruberti, capo di gabinetto del Campidoglio e uomo vicinissimo al sindaco Gualtieri dopo esserlo stato di Nicola Zingaretti c’è molto della politica romana che infesta i partiti nazionali.

Prima, si sa, c’erano quelli del Movimento 5 Stelle e farne emergere gli errori e le grossolanità era fin troppo facile.

Ma Ruberti che in un ristorante a Frosinone, attovagliato con amici e parenti che poi sono gli stessi dirigenti del suo stesso partito, briga e disfa fino a perdere le staffe è esattamente l’immagine della politica che si fa corporazione, dei partiti come comunità endogamica che inevitabilmente corroborano la sensazione di lontananza.

C’è un capo di gabinetto, c’è un ex assessore regionale e europarlamentare, c’è una consigliera regionale che è anche compagna del capo di gabinetto e la fotografia vista da fuori rimanda al circolino.

È pacifico che i veleni in coda alla pubblicazione del video possano essere spenti solo sapendo esattamente di cosa si stesse parlando. È parimenti pacifico che non lo sapremo mai.

C’è poi il modo di Ruberti, il modo spaccone di quelli che parlano di “competenza”, di “serietà”, di “preparazione” e poi appena si scaldano mostrano la loro anima peggiore, non riescono a trattenere l’istinto di prevaricazione che nei partiti viene tollerato come naturale istinto di sopravvivenza.

Può sgolarsi quanto vuole Ruberti per convincerci che quella fosse una discussione privata e che noi giornalisti non dovremmo occuparcene ma una figura istituzionale di così alto livello all’interno della capitale d’Italia che urla «vi sparo, vi ammazzo» e che invita il suo avversario a inginocchiarsi è qualcosa che nei modi (e ci auguriamo che non sia così anche nella cultura) rimanda a uno stile di vendetta tipicamente mafioso, a un culto della violenza che deve provocare la vergogna, oltre alla sconfitta.

Vergognose difese d’ufficio

Ci sono poi le vergognose difese d’ufficio che non difendono nulla. Francesco De Angelis, che era lì con Ruberti, che si dichiara “estraneo” senza spiegarci esattamente come si possa restare estranei a due metri da qualcuno che invoca un punizione così esemplare.

Lo stesso De Angelis che prova a buttarla sul calcio, tipico argomento italiano con cui giustificare l’indicibile, per essere poi smentito dallo stesso Ruberti. Per farsi un’idea della finzione politica basterebbe leggere i giornali che sottolineano il ritiro della sua candidatura come gesto di responsabilità di De Angelis.

Pochi si ricordano di specificare che fosse una candidatura in posizione non eleggibile. Poi c’è quel “mi ti compro” che avrebbe fatto perdere le staffe a Ruberti, di cui lo stesso parla nella sua lettera di dimissioni a Gualtieri: una frase che sembra spuntare da una brutta puntata di Gomorra.

Per cosa avrebbe dovuto comprare il braccio destro del sindaco? Chi?

La sostanza della questione è perché Gualtieri (e il Pd romano) tengano così in considerazione un uomo violento che ha già violato il lockdown per una bella cena di pesce, ha aggredito degli ambientalisti che manifestavano contro Zingaretti e incarna alla perfezione il tipo da “lei non sa chi sono io”.

È questa la competenza?