La Sveglia

Un assedio umanitario per rompere l’assedio genocida

Il governo di Israele, impegnato ad apparire autorevole e potente, si è sbriciolato agli occhi del mondo davanti a una piccola barca a vela con dodici attivisti come equipaggio e con beni alimentari come unica arma. Gli strepiti di chi vede terroristi anche su una barca di aiuti umanitari, il dispiegamento piratesco di militari, la simulazione cinematografica dell’offerta di cibo e acqua hanno smascherato il governo del criminale Netanyahu. Quando ci si abitua ad agire da assassini, si diventa incapaci perfino di fingere democrazia.

La spedizione della Freedom Flotilla ha però mostrato al mondo anche un altro aspetto: lo Stato di Israele va in tilt ogni volta che qualcuno si avvicina a Gaza, ora mostrificata in un campo di concentramento a cielo aperto. Per fermare il genocidio, i governi non possono offrire commozione. La commozione non sfama i bambini di Gaza, non cura le ferite, non sostituisce l’acqua, non serve per le operazioni chirurgiche né per le ecografie. Per fermare Israele servono i dazi e serve un concreto, tangibile assedio umanitario. Come ha detto ieri la relatrice ONU Francesca Albanese, servirebbe che ogni Stato, subito, inviasse una sua imbarcazione, con medici, operatori e beni umanitari.

Immaginate Netanyahu accusare di terrorismo e di antisemitismo i corpi diplomatici e umanitari degli Stati europei. Immaginate l’esercito israeliano all’arrembaggio di imbarcazioni con bandiera tedesca, spagnola, francese, italiana. Immaginate gli occhi del mondo puntati su uno Stato ormai incapace di dialogare senza armi e senza bombe. Un assedio umanitario per rompere l’assedio genocida.