La Sveglia

Un decreto dopo l’altro e la libertà vacilla

Quando Giovanni Giolitti definiva il fascismo “roba che deve sfogarsi”, non stava solo sbagliando previsione. Stava costruendo un alibi. L’illusione di poter normalizzare l’eccezione, di usarla per i propri fini e poi ricondurla alla legalità, è stata la trappola dell’Italia liberale. Oggi quella stessa trappola si presenta in abiti nuovi, ma con la stessa logica: minimizzare, giustificare, normalizzare.

Come allora, anche oggi c’è chi sminuisce le intimidazioni neofasciste, chi liquida le critiche sulla libertà di stampa come “strumentali”, chi derubrica l’erosione dei diritti a misura necessaria per la “sicurezza”. Il saluto romano diventa un “gesto funebre”, l’antifascismo è ridotto a una questione di retorica, i decreti sicurezza si presentano come strumenti di ordine pubblico e non come dispositivi punitivi.

C’è una continuità nel linguaggio e nella strategia: il ricorso all’“emergenza”, l’uso della legge per legittimare l’arbitrio, la delegittimazione dei critici. Allora come oggi, la stampa che denuncia viene attaccata. I giornalisti sono “portatori di interesse”, i dissidenti sono “faziosi”, le ONG sono “politicizzate”. La storia non si ripete mai uguale, ma si lascia scivolare nei dettagli: nel calcolo di chi tace, nell’ambiguità di chi strizza l’occhio, nella disattenzione di chi liquida tutto come nostalgia. I liberali degli anni ’20 si convinsero che il fascismo fosse un male passeggero. Anche oggi, chi minimizza crede di poter controllare ciò che non è mai stato addomesticabile: il potere che si nutre del disprezzo per la libertà.

La democrazia non si difende da sola. Sta a chi la vive riconoscere i segnali che la storia ci ha lasciato.