Un figlio con due mamme. La Appendino forza la legge. Iscritto all’anagrafe il figlio di Chiara e Micaela. La sindaca di Torino bypassa il Parlamento

Chiara Appendino ha firmato l’atto che riconosce Niccolò, nato da procreazione assistita, come figlio di Chiara Foglietta e Micaela Ghisleni

Aveva promesso di “forzare la mano” e l’ha fatto. La sindaca di Torino Chiara Appendino ha firmato l’atto che riconosce Niccolò, nato da procreazione assistita, come figlio di Chiara Foglietta e Micaela Ghisleni. Si tratta del primo caso in Italia: mai un Comune aveva riconosciuto pari diritti a un bimbo nato in Italia da coppia gay. Un caso scivoloso, che ha diviso opinione pubblica e politica. Inevitabile, d’altronde, quando si parla di minori e dei diritti (sacrosanti) degli omosessuali. Ma, dopo la gioia del momento, la riflessione critica deve andare oltre e toccare il vero problema della questione: in ogni caso e comunque la si pensi, la sindaca ha commesso un abuso. Certo, si dirà, giustificato dal fine. In uno Stato che si dice “laico” e “di diritto”, però, non regge la filosofia machiavellica secondo cui “il fine giustifica i mezzi”. Al contrario, ogni azione compiuta all’interno della società non può prescindere dal rispetto e dall’obbedienza alla legge dello Stato che ci indica i limiti delle nostre stesse azioni, siano esse mezzi o fini.

La condicio sine qua non – Nessuno può porsi al di sopra della legge: è questa la condicio sine qua non per avere uno Stato di diritto che sia tale. Un concetto, questo, caro ai contrattualisti del 600 ed anche ad Hegel: in uno Stato di diritto anche quando la legge ci sembra ingiusta, siamo chiamati all’obbedienza. E, nel frattempo, si cerca di modificare quanto non ci sembra giusto, adatto ai tempi e alla società in cui viviamo. Una piccola cessione di libertà, necessaria per vivere in comune. Il ragionamento a supporto di tale principio è semplice: se ciascuno fosse autorizzato ad obbedire solo alle leggi che egli stesso condividesse, le leggi (e lo Stato stesso) sarebbero inutili: ciascuno agirebbe sempre come a lui pare meglio. Con la conseguenza, inevitabile, che si tornerebbe allo stato di natura o, se si vuole, all’anarchia.

Relativismo a un passo – Qualcuno, ancora, potrebbe dire che in questo caso parliamo della vita di un minore e del diritto di questi ad avere una famiglia. Tutto vero. Ma non si può prescindere dal fatto che Niccolò sia stato voluto, tramite procreazione assistita, dalle due mamme. Per qualcuno un atto di egoismo di Chiara e Micaela, per altri una scelta legittima. Semplicemente, parliamo di libero arbitrio e come tale, in uno Stato laico e liberale, dev’essere inteso. Il vecchio adagio secondo cui la libertà degli altri termina solo quando tocca la nostra libertà, è sempre valido. Ma la libertà di cui ognuno deve godere, non può che poggiare sul rispetto della legge. Per un motivo molto semplice: il rischio è il relativismo su ogni problematica normativa. Se si comincia a bypassare quanto prescrive la legge accettando che sia un sindaco e non un Parlamento a fare o modifcare le norme, chi ci dice che questo non potrebbe accadere ancora, e ancora, e ancora, magari su questioni che toccano la sicurezza di ognuno? Una domanda su cui ragionare. E la cui unica risposta è l’imprescindibilità della legge.