Sembra iniziare a prendere plasticamente forma la tattica che il governo ha scelto per affrontare non soltanto la legge di Bilancio 2026 ma, anche e soprattutto, il calendario politico del prossimo futuro. La Manovra, bocciata in coro da sindacati, imprese e istituzioni varie che in settimana hanno sfilato ordinatamente nelle commissioni Bilancio riunite, non è la grande distribuzione di risorse che molti, a cominciare dalle associazioni datoriali, speravano (ammesso e non concesso che questo sia l’obiettivo). Al contrario, serve a mostrare credibilità alle – un tempo tanto vituperate – agenzie di rating e ad avviarsi verso l’uscita dalla procedura d’infrazione per deficit eccessivo.
Il disavanzo programmato scende al 3% del Pil e viene prospettato pure un 2,8% nel 2026. In altre parole: siamo davanti a una legge di Bilancio asfittica, che alza il freno alle promesse e riduce volutamente lo spazio d’azione ma che, dietro questo copione apparentemente austero, nasconde un doppio obiettivo. Il primo è di natura tecnico-finanziaria: seguire il mantra dei conti in ordine, rassicurare Bruxelles e i mercati, ottenere quei semafori verdi che garantiscano di accedere a strumenti come i prestiti Safe, il programma di finanziamento della difesa dell’Ue. Non è un segreto che il nostro Paese ha prenotato fino a 15 miliardi di euro, da restituire in 45 anni, per potenziare l’industria bellica obbedendo così al diktat di Donald Trump di spingere fino al 5% del Pil la spesa militare: gli Stati dovranno presentare piani dettagliati entro fine novembre. Il secondo è invece evidentemente di natura politico-elettorale.
La Manovra con cui il governo si giocherà tutto sarà quella dell’anno prossimo, con le elezioni Politiche del 2027 in programma dopo pochi mesi. Quella a cui stiamo assistendo oggi è dunque la ‘prova generale’ con cui rassicurare le istituzioni sovranazionali al grido di “abbiamo messo ordine”, “abbiamo rispettato i vincoli”, “ora possiamo procedere” (sì, ma verso dove?). La vera distribuzione arriverà solo dopo, nel pieno del gioco elettorale. “Ingraziarsi” quell’Europa su cui per anni si è sputato veleno è, incredibile ma vero, il punto centrale di questa operazione. A famiglie, lavoratori e imprese che vorrebbero risposte tangibili il governo sceglie, per ora, di anteporre altri interessi. Non sorprende che da Istat a Bankitalia, da Upb a Confindustria sul provvedimento più importante dell’anno siano grandinate critiche che neanche la ben rodata propaganda è riuscita a silenziare. A tutto c’è un limite.