Un monte di crediti spazzatura

di Stefano Sansonetti

Altro che tesoro da 600 e più miliardi. La realtà è che nei “magazzini” di Equitalia al massimo ci sono 70 miliardi di euro. Questa, e non altre, è la cifra che si può ragionevolmente incassare nei prossimi anni. Il fatto è che ciclicamente riviene fuori la questione dei crediti fiscali “monstre” in pancia alla società pubblica di riscossione. Quando ormai tutti hanno capito che lo Stato può sperare di incassare solo una minima parte di una torta quasi integralmente avariata. Sì, perché al suo interno la fetta più grande è rappresentata dai cosiddetti crediti inesigibili, un calderone in cui sono finiti negli anni partite vantate nei confronti di contribuenti deceduti o falliti, quelle che derivano da ruoli palesemente sbagliati di comuni ed enti locali, quelle congelate dalle norme sull’impignorabilità e sulle rateazioni, quelle che hanno dato vita a procedure esecutive per ora infruttuose. Piuttosto è solo andando a disaggregare il dato generale che si capisce come a monte ci sia un sistema a dir poco fallimentare.

La filiera
Innanzitutto il dato, emerso qualche mese fa, parla di 894 miliardi di crediti accumulati dal 2000 ad oggi e nel corso del tempo finiti in carico a Equitalia. La cifra, un particolare, era stata comunicata dai vertici della società di riscossione nel corso di un’audizione del marzo scorso in commissione finanze del Senato. E già lì la situazione era sin troppo chiara. Un 25% di questa cifra, pari a 223 miliardi di euro, fa infatti riferimento a ruoli sbagliati e quindi, come si dice in gergo tecnico, “sgravati”. Parliamo cioè di partite consegnate a Equitalia dai vari enti impositori, ovvero dall’Agenzia delle entrate, dall’Inps, ma soprattutto da comuni ed enti locali, che da questo punto di vista sono sempre stati i più “pasticcioni”. In ogni caso si tratta di somme irrecuperabili. Poi c’è un altro 27%, pari a 240 miliardi, che è relativo a crediti verso contribuenti falliti, deceduti o nullatenenti. Anche qui, naturalmente, non ci sono margini per recuperare alcunché. E per questa via ci troviamo di fronte a più della metà degli 894 miliardi di euro che così si va a far benedire.

Il resto
Ma non è finita qui, perché a questa sorta di processo di “evaporazione” va aggiunto un alteriore 25%, pari sempre a 223 miliardi, che fa riferimento a crediti verso contribuenti nei confronti dei quali è stata azionata una procedura esecutiva (pignormenti, ipoteche) che però al momento non ha consentito di recuperare nulla. Poi vanno considerate le posizioni di fatto congelate dalle varie normative sull’impignorabilità della prima casa e sulle rateazioni. Infine bisogna calcolare la quota riscossa in questi 14 anni da Equitalia, pari a 68 miliardi (di cui 55 recuperati negli ultimi sette anni dalla società di riscossione e 13 dai fallimentari ex concessionari bancari). Insomma, cosa rimane alla fine della fiera? Semplice, una quota del 7,8%, pari a 70 miliardi, che è la sola a poter essere definita recuperabile. Dagli ultimi aggiornamenti, tra l’altro, i crediti complessivi sono stati già rivisti al ribasso. Al 31 dicembre 2013, come riportato nei giorni scorsi da il Fatto Quotidiano, si è già scesi a 620 miliardi, proprio grazie allo sgravio di tanti crediti “spazzatura” vantati finora dagli enti locali. In capo ai quali, nel calderone, oggi rimangono “solo” 20 miliardi. Il fatto è che, sul punto, per troppo tempo i comuni hanno tenuto in vita, affidandoli a Equitalia, crediti che erano stato comunque fissati in bilancio, senza chiarire che la loro recuperabilità era prossima allo zero. Ma adesso questo andazzo non è più sostenibile.