Una storia ungherese per capire questa Italia. Budapest è assediata dall’Armata Rossa. Un diario rivive quell’epoca. Che è la nostra

Inizio di gennaio. 1945. Nel cuore del potere e della vita ungherese, a Budapest, le bombe e l’artiglieria distruggono le vie, i palazzi e le case. Ci si addormenta – nei sottoscala e nei cunicoli, sporchissimi, affamati, disperati – non sapendo se il giorno dopo tutto sarà uguale. Se si sarà ancora vivi. Mentre l’Armata Rossa stringe l’assedio intorno alla città, e l’esercito nazista non intende retrocedere, una giovane ragazza innamorata di un ebreo scrive la sua vita, ricorda il suo passato, sogna. In fondo, sua nonna glielo aveva detto: “Scrivi, qualsiasi cosa accada, scrivi”. E così fa Kinga, che nei suoi vent’anni prova a dare forma e ordine con le parole a quello che le succede intorno. E quello che accade è “Una storia ungherese” appena pubblicato da uno dei più raffinati editori degli ultimi anni, la casa editrice romana e indipendente Atlantide. A firmarlo è la scrittrice romana Margherita Loy, che da molti anni vive nella campagna toscana, ha pubblicato con Gallucci diversi libri per bambini ed è adesso al suo esordio narrativo. Un esordio fulminante. Non a caso scoperto da uno dei più brillanti editor italiani, Simone Caltabellota, che ha all’attivo bestseller come Melissa P. e la saga di Twilight. Con una lingua originale e controllata, e la straordinaria capacità di creare immagini vivide e sovente indimenticabili, Loy accompagna il lettore nella vita di Kinga: nella casa di campagna in cui ha vissuto insieme alla nonna, nel retro della bottega dei genitori dell’amato Gyalma, al lago quando fa il bagno nuda. Più scrive, Kinga, meno avverte la fame e la paura. Più scrive, più riaffiorano i ricordi: il padre italiano che dipinge e che ha abbandonato la famiglia, suo fratello Alexander che le stringe la mano in una giornata di dolore, l’istante in cui la sua treccia di lunghi e scuri capelli viene sciolta nel retro della bottega del paese. E, ancora, le passeggiate con il cane Maxi, l’odore della primavera e della felicità che sa di burro fuso e albicocche sottospirito… Ma l’attesa consegna con sé anche una nuova, dolorosa, consapevolezza. E le persone che cambiano – “Ma l’odio non è germogliato all’improvviso. Oh no. Io ho visto la gente di Budapest cambiare” – sono un monito al tempo che viviamo. Sono un invito alla vita e al restare umani.