di Andrea Koveos
L’impero degli scafisti. Sul Mediterraneo fin dagli anni ’90 agiscono indisturbati i nuovi pirati del secolo. Uomini che sfruttano la disperazione per far soldi organizzando traversate della speranza sulle cosiddette carrette del mare direzione Sicilia. La rete di questi trafficanti non sono mai state realmente contrastate. Le procure europee, compresa quella italiana, sembrano puntare più sul colpevole di turno beccato a bordo dell’ultimo peschereccio, che a stroncare alla radice che davvero lucra sulla pelle degli immigrati. Secondo Fulvio Vassallo autore di “Cosa sono gli scafisti?” pubblicato da terrelibere.org, si dovevano creare le condizioni perché fossero le comunità di immigrati a denunciare le reti di trafficanti e non alimentare una omertà che dura ancora oggi. Non solo quelle condizioni di collaborazione e di fiducia reciproca non si sono mai create, ma l`inasprimento della legislazione e delle prassi applicate dalle forze di polizia dopo gli sbarchi ha determinato in misura crescente rispetto al passato l`allontanamento immediato degli immigrati verso altri paesi europei. Le uniche forme di collaborazione si basano ancora sullo scambio tra qualche facilitazione, o addirittura il riconoscimento di un permesso di soggiorno, e la denuncia di scafisti o intermediari, metodo che, stando ai risultati, non ha scalfito per nulla le organizzazioni criminali ed ha portato alla incriminazione di immigrati che con il traffico non avevano nulla da fare. C’è dell’altro. Dino Frisullo, con un articolo su Narcomafie, aveva svelato per la prima volta, sulla base delle testimonianze raccolte tra i parenti delle vittime, la rete dei trafficanti che aveva la base a Malta, ma le autorità maltesi e quelle italiane non riuscirono mai a bloccare quella rete criminale, attiva probabilmente ancora oggi, e ad assicurare alla giustizia gli organizzatori del traffico. E quando alcuni parenti arrivarono in Italia per sollecitare la prosecuzione dell`indagine penale, furono trattati quasi alla stregua di ‘clandestini`, come il vecchio Zabiullah, che alla fine, deluso dalla giustizia italiana, incapace di scovare e punire gli artefici della morte del nipote, si dovette arrendere e fece ritorno in Pakistan. Vassallo scrive ancora che le indagini condotte sugli scafisti che garantivano negli anni `90 il passaggio dalla ex Jugoslavia in Italia, attraverso il Canale d`Otranto, come le successive operazioni di contrasto della diaspora tamil bloccata tra il 1999 ed il 2001 nel Canale di Suez o nelle acque del Mediterraneo prospicienti l`Egitto, e quindi restituiti alla dittatura che in quegli anni insanguinava lo Sri Lanka, confermarono comunque già allora l`esistenza di navi madre più grandi con le quali i profughi affrontavano la parte centrale del viaggio, dopo essere partiti dalla costa del loro paese con imbarcazioni più piccole e prima di essere abbandonati su altre imbarcazioni più piccole, calate a mare in prossimità del limite delle acque territoriali e della zona contigua, sottoposta a vigilanza, nel caso dell`Italia da parte della Guardia di Finanza (24 miglia), delle unità militari dei paesi di destinazione. Nell`estate del 2013 di fronte alla ripresa degli sbarchi di migranti, spesso profughi di guerra, provenienti non solo dalla Libia, ma soprattutto dall`Egitto, e sembrerebbe, più di recente, anche direttamente dalla Siria, l`ipotesi della esistenza di una o più navi madre è ritornata in auge nelle indagini condotte a Catania e a Siracusa, con ampio rilievo sui mezzi di informazione. In alcune dichiarazioni rese alla stampa dopo il sequestro di un peschereccio di oltre 30 metri con 15 membri di equipaggio a bordo, tutti arrestati, si è giunti ad affermare che finalmente si era scoperta la ‘nave madre` che aveva trasportato.