Unità nazionale o voto. Salvini costretto a tifare Conte per non spaccare la Lega. Se fallisce la trattativa tra i giallorossi per Matteo sono guai. L’ala di Giorgetti non vuole il voto

Unità nazionale o voto. Salvini costretto a tifare Conte per non spaccare la Lega. Se fallisce la trattativa tra i giallorossi per Matteo sono guai. L’ala di Giorgetti non vuole il voto

Ad evidenziare il paradosso è il deputato forzista Osvaldo Napoli: “Non nascondiamoci dietro un dito: chiunque rifiuti la prospettiva di un governo di alto profilo o dei migliori, sia della maggioranza o dell’opposizione, lavora per un Conte-ter. Una prospettiva, chiarisco, logica e comprensibile per la coalizione di centrosinistra. Ma del tutto illogica e surreale per le forze di opposizione che rischiano, in questo modo, di mostrare gravi limiti nel costruire un’azione politica nell’interesse del Paese”.

E arriva al punto: “Meloni e Salvini – aggiunge – dovrebbero esserne consapevoli, e a poco serve chiedere il voto anticipato quando non c’è possibilità alcuna. Si invoca la luna per non sporcarsi con la realtà”. Ora, al di là dell’orientamento dei singoli partiti di centrodestra sull’eventualità del voto anticipato, è evidente che lo scioglimento anticipato delle camere è altamente improbabile: ai 45 giorni della campagna elettorale occorre infatti aggiungere un altro mese e mezzo per fare il governo e con un Recovery Plan da presentare in Europa entro fine aprile non ci siamo nei tempi, e rischiare di perdere anche solo una tranche dei fondi Ue non è proprio la migliore delle idee.

Ergo: l’instabilità può mettere a rischio la ripresa ed occorre avere un governo forte e credibile ora. Anzi, prima di ora. E questo lo sanno tutti, Sergio Mattarella in primis, quindi quando il leader della Lega afferma “Contiamo che il presidente della Repubblica Mattarella senta cosa pensa il Paese e piuttosto che pastrocchi, restituisca la parola agli italiani”, in realtà sa benissimo quello che il Capo dello Stato pensa. Ma allora perché insistere? Anche perché – e qui sta il paradosso citato in apertura – se le urne convengono a Giorgia Meloni per vari motivi – la coerenza con cui le ha sempre chieste, il fatto che FdI nei sondaggi sia accreditata in crescita esponenziale, la sua spendibilità a livello internazionale – altrettanto non si può dire di Matteo Salvini.

Sebbene il vice segretario del Carroccio, Giancarlo Giorgetti (nella foto), da mesi si spenda in tutte le sedi per rendere l’immagine del Capitano “più presentabile” in Europa, nelle cancellerie che contano e nelle istituzioni che decidono, fin qui il seppur lodevole lavoro fatto non ha dato i frutti sperati. Nel centrodestra è da sempre Silvio Berlusconi quello “europeista” – in questo momento il Cavaliere per giunta siede nell’Europarlamento e in ogni caso il suo partito sin dal 1998 ha aderito al Ppe – ma anche la Meloni sta facendo passi da gigante per accreditare il suo partito e se stessa come interlocutori credibili: di qui la scelta di far parte del partito dei Conservatori europei, di cui peraltro è presidente.

Dunque, andare al voto adesso per Salvini , anche in caso di vittoria, vorrebbe dire non essere necessariamente il candidato premier perché, inutile nasconderlo, il gradimento dell’Ue in questo momento ha il suo peso, eccome. E lui, appunto, non ce l’ha questo gradimento. Ma anche l’altra ipotesi, che nelle consultazioni di venerdì scorso al Colle è stata presa in considerazione in maniera volutamente ambigua – quella dell’appoggio ad un eventuale governo di unità nazionale – sarebbe nefasta per la Lega perché con FI o una parte di essa pronto ad appoggiarlo se lo facesse anch’essa (come molti a via Bellerio non disdegnano) lascerebbe a FdI un’opposizione dura e pura che sicuramente gioverebbe in consensi.

Tutto sommato, allora, meglio tenersi ancora per un pò Conte, a gestire peraltro una fase non facilissima, con la pandemia ancora in corso e una crisi economica devastante. Non a caso il deputato forzista più vicino alla Lega, Francesco Giro, pur rimarcando la linea del “voto subito” ed escludendo che possa vedere la luce “un governo politico di alto profilo (e non dei migliori) al quale tutti potessero contribuire” suggerisce che in termini elettorali, al centrodestra, l’attuale premier ancora a Palazzo Chigi converrebbe eccome: “Se, come sembra, nascerà un Conte Ter allora vorrà dire che in piena pandemia hanno litigato solo per spartirsi altre (e nuove) poltrone e poltroncine. Lo ricorderemo in campagna elettorale per le amministrative perché tutto si tiene”.