Più milioni che sport

Uno scrigno pieno di tesori. Immobili e partecipazioni: ecco il braccio d’oro del Coni

di Stefano Sansonetti

Un “giocattolino” attraverso il quale passa un sacco di soldi. Di fatto un autentico scrigno, nella cui pancia sono custoditi immobili per 243 milioni di euro, partecipazioni azionarie per quasi 40 milioni e un centro spese a dir poco ramificato, dal quale riescono a uscire anche 1,4 milioni di euro per rinnovare le cucine dello Stadio Olimpico. Benvenuti nel caleidoscopico mondo della Coni Servizi spa, il braccio operativo del Coni, formalmente controllato al 100% dal ministero dell’economia. Ed è proprio andando a indagare i “gioielli” aziendali che si capisce meglio il motivo per cui i legali della società si sono battuti davanti alla Corte dei conti, perdendo rovinosamente, per escludere Coni Servizi dalla lista Istat delle pubbliche amministrazioni, cioè quelle che concorrono alla formazione del bilancio consolidato dello Stato. L’obiettivo era quello di tenersi le mani libere, ma dai giudici contabili è arrivato un secco niet.

I numeri
Diciamo subito che l’ultimo bilancio disponibile della società, relativo al 2012, racconta di ricavi complessivi per 131,7 milioni di euro. La magna pars, pari a 108 milioni, deriva però da un contratto di servizio con il Coni, l’ente guidato da quel Giovanni Malagò che ha sempre guardato con grande interesse al “suo” braccio operativo. E infatti lo stesso Malagò ha tirato un sospiro di sollievo quando dalla società sono usciti l’ex presidente Gianni Petrucci e l’ex ad Raffaele Pagnozzi, suoi grandi oppositori nella corsa al vertice del Coni e firmatari del documento contabile della società riferito al 2012. Alla fine dello stesso anno, peraltro, l’azienda ha chiuso con un utile di poco superiore ai 3 milioni di euro. Di certo spiccano le cifre del patrimonio immobiliare. Parliamo di cespiti del valore di 243 milioni di euro, all’interno dei quali ci sono pezzi pregiati come il Foro Italico ma anche tanti altri immobili con i quali la Coni Servizi ha fatto cassa nell’ultimo esercizio. Parliamo di 5 ,6 milioni di euro derivanti dalla cessione a terzi del complesso sportivo “Sterlino” di Bologna, di un immobile a Brindisi, di un complesso immobiliare a Vercelli e di una palestra a La Spezia.

Depositi
Tra l’altro la società ha disponibilità liquide per 23,6 milioni di euro, anche se il bilancio spiega che si tratta di soldi derivanti dal pagamento a fine 2012 di una tranche del contratto di servizio. Ma spuntano fuori pure 40,2 milioni di utili ancora non distribuiti. Poi c’è il capitolo partecipazioni. In bilancio risulta iscritto un 5,4% detenuto nell’Istituto di credito sportivo, anche se da tempo sottoposto a commissariamento, per un valore di 37 milioni. In più c’è un 55% nella Coninet, per un valore di 725 mila euro. Si tratta della società che si occupa di fornire soluzioni informatiche alle federazioni. Ma non solo: la Coninet, il cui restante 45% del capitale è in mano ad Aci Informatica, ha l’ambizione di fornire servizi tecnologici anche ad altri enti pubblici e privati.

Maxispese
Una società del genere, neanche a dirlo, è capace di spendere un sacco di soldi. Sempre dal bilancio 2012, per esempio, viene fuori che sono stati impegnati per interventi presso lo Stadio Olimpico 1,4 milioni di euro. La cifra è servita “alla fornitura e posa in opera delle nuove cucine in grado di servire contemporaneamente circa 2.500 clienti, alla fornitura e posa in opera di oltre 1.000 nuovi corpi illuminanti, all’acquisto di mobili e arredi per le nuove sale adibite alla ristorazione e intrattenimento, alla fornitura e posa in opera sugli spalti di nuove 1.000 poltroncine riscaldate”. In più sono stati spesi 925 mila euro “per la fornitura ve messa in rete dei touch screen itegrati negli schienali delle poltroncine dell’area autorità”.

 

Lo sport nazionale: buttare soldi pubblici. Ma la cuccagna è finita
Gestione milionaria  in Coni Servizi Spa. E lo Stato prende il controllo del bilancio

di Fabrizio Gentile

È inutile continuare a parlare di stanare gli evasori, di punire i furbetti, di contrastare l’atavica allergia ai controlli degli italiani, se poi i primi a dare il cattivo esempio sono pezzi dello Stato. Nello specifico società che percepiscono fior di milioni e milioni dalle casse pubbliche ma che hanno più di qualche remora a mettere i conti alla luce dei controlli dello Stato stesso.
C’è voluta la mano dura delle Sezioni riunite della Corte dei Conti per bloccare la pretesa di stare fuori dalle regole generali (spending review, controlli di bilancio, ecc.) da parte addirittura del Coni, ossia dell’ente che gestisce tutto lo sport in Italia. In particolare la Coni servizi Srl ha contestato il suo inserimento, fatto dall’Istat, nell’elenco delle amministrazioni pubbliche, quelle che devono iscrivere i propri bilanci nel conto economico consolidato dello Stato.

Il caso
Per la verità non è la prima volta che Coni Servizi, da quando l’Istat ha fatto l’inserimento, ha provato a scrollarsi di dosso questa incombenza. Divenuta insostenibile in periodi di spending review. E per farlo ha cercato di far passare il concetto che il Coni – ente pubblico – è una cosa, mentre Coni Servizi, società per azioni, è un’altra. Non solo, ma per dare corpo alla richiesta ha paventato che la drastica diminuzione di risorse conseguente proprio alla spending review avrebbe avuto conseguenze anche sull’operatività della Spa. In parole povere: non toccate i soldi perché altrimenti servizi e dipendenti ne subiranno le conseguenze, e lasciate che il bilancio sia gestito dalla Spa come società privata.
La Corte dei Conti, convocata a sezioni riunite, non la pensa però così. Con sentenza n.17/2014 pubblicata appena l’altroieri, ha rigettato il ricorso, spiegando perché Coni Servizi e Coni siano sostanzialmente da considerare l’uno emanazione dall’altro, entrambi finanziati copiosamente dallo Stato Itaiano (cioè dai contribuenti) e controllati dal pubblico mediante nomine, e dunque sottoposti a tutti gli obblighi di legge, spending review compresa.

Pubblico e privato
Coni Servizi, pur essendo un soggetto di diritto privato – scrivono i giudici- interagisce con il Coni in condizioni di monopolio e senza altri soggetti privati che concorrano alla produzione degli stessi servizi alle stesse condizioni, in base a un affidamento diretto (il Contratto di servizio) in virtù del quale produce prestazioni e servizi in misura dominante per il Coni”. Insomma, il principio che il Coni sia una cosa e Coni Servizi un’altra proprio non passa; “il corrispettivo – 108 milioni di euro circa nel 2012, ultimo bilancio pubblicato sul sito – è stabilito non facendo riferimento a delle singole prestazioni ma con modalità forfettarie”. Per i giudici dunque, a prescindere dal nome che gli si vuole dare, l’erogazione dei fondi “assume la natura di un trasferimento pubblico, erogato in assenza di qualsivoglia rischio d’impresa”.

Il controllo
Per i giudici della Corte dei Conti “Coni Servizi” deve sottostare a controllo pubblico “dal momento che l’unico azionista (il ministero dell’Economia e delle Finanze) esercita i poteri di qualsiasi azionista di società di capitali. Più in dettaglio, la Corte dei Conti contesta il fatto che Coni Servizi possa essere considerata alla stregua di un’azienda privata con parziale controllo pubblico, né tantomeno un’azienda privata tout-court. Per dimostrarlo basta dare un’occhiata alla composizione societaria e dei vertici aziendali: le azioni sono al 100% del Ministero dell’Economia, al Coni spetta la designazione del Presidente e di tutti gli altri componenti del Consiglio di amministrazione, al Ministero dell’Economia la designazione del Presidente del Collegio dei Sindaci, al Ministero per i Beni e le Attività culturali la designazione degli altri componenti del Collegio dei Sindaci. Nel Bilancio 2012, a fronte di 128 milioni di ricavi, ben 108 sono ricavati dal Contratto di Servizio che lo stesso Coni ha firmato con Coni Servizi “girandogli” parte dei contributi statali che il Coni riceve. Insomma, ci vuole un bel volo pindarico per considerare Coni Servizi svincolata dal controllo pubblico, e dunque svincolata anche da tutti gli obblighi di trasparenza e contenimento dei costi che ciò comporta.

L’ultima mazzata
Dicevamo che questa allergia ai controlli non è la prima volta che viene manifestata da Coni Servizi (che come abbiamo visto è diretta emanazione del Coni quanto a ghota decisionale). Ci sono stati ricorsi al Tar, al Consiglio di Stato, alla Corte dei Conti. Un’insistenza che alla fine ha indispettito i giudici contabili al punto da fargli scrivere in sentenza che “in considerazione delle riproposizione della domanda giudiziaria nonostante siano rimasti immutati i presupposti di fatto che dal 2006 hanno determinato l’inclusione della società negli elenchi Istat, il collegio ha predisposto di trasferire gli atti alla Procura generale della Corte dei Conti per le eventuali valutazioni di competenza”. Tradotto: tutti l tempo che è stato fatto perdere e le energie spese dallo Stato in contenziosi hanno un costo. E non è detto che lo Stato stesso non sia intenzionato a recuperarlo dalle tasche dei ricorrenti.