C’è un dato che non ha bisogno di retorica, né di fronzoli, per far male: il 31% degli italiani non può permettersi una settimana di vacanza all’anno. Non perché “preferisce restare a casa”, come ancora qualcuno tenta di raccontare, ma perché mancano i soldi. Una condizione che riguarda quasi un terzo della popolazione, certificata da Eurostat e superiore alla media dell’Unione europea. Peggio di noi, tra i grandi Paesi, solo la Spagna. Meglio la Francia (22%) e meglio ancora la Germania (21%).
Il dato non è una novità, ma l’analisi raccolta da Lorenzo Ruffino racconta meglio di mille comizi cosa sia diventata oggi la “normalità” economica italiana: un presente in cui la parola ferie è diventata un lusso e in cui l’estate divide i cittadini tra chi parte e chi resta a guardare. E il divario è tutto tranne che simbolico.
Geografia della rinuncia
L’Italia, anche stavolta, si ritrova in quella cartina biforcuta che separa l’Europa del Nord e dell’Ovest – dove le vacanze sono un diritto – dall’Europa del Sud e dell’Est, dove sono un’eccezione. In Romania quasi sei persone su dieci devono rinunciare a una settimana fuori casa. In Grecia sono il 46%, in Bulgaria il 42%, in Ungheria il 39%. La Spagna è a quota 33%. In cima alla classifica virtuosa, invece, c’è il Lussemburgo con appena il 9% di esclusi, seguito da Norvegia (9%), Svezia (12%), Paesi Bassi (13%), Finlandia, Slovenia e Danimarca (tra 14% e 15%).
Questo scarto, sistemico e ripetuto anno dopo anno, non è un effetto collaterale: è una crepa strutturale del modello economico europeo, che nella retorica dell’austerità ha affondato per anni proprio i margini più deboli del continente. La rinuncia alle vacanze, come ogni privazione, è un indice: misura la distanza tra la crescita raccontata e la vita reale.
La famiglia che non parte
L’Italia, nel dettaglio, mostra un altro dato rivelatore: tra i nuclei familiari con tre figli (o più), quasi uno su due (49%) non può permettersi di partire. È un dato che fa a pugni con il presunto sostegno alla natalità sbandierato da ogni governo, mentre nei fatti si continua a penalizzare chi ha carichi familiari maggiori. Anche nelle famiglie con uno o due figli le percentuali sono alte: tra il 25% e il 27%, contro una media europea che si ferma al 20%.
I single stanno peggio di tutti: in Italia il 38% di chi vive da solo non può andare in vacanza, contro il 33% della media europea. Ma nessuna fascia si salva davvero. E nessun partito di maggioranza può permettersi di scrollarsi di dosso questi numeri, continuando a parlare di “turismo come motore del Paese” mentre una parte crescente degli italiani resta ai box.
Vacanze a caro prezzo
C’è poi una peculiarità tutta italiana che incide nel peggiorare la situazione: la concentrazione forzata delle ferie nel periodo centrale di agosto, che coinvolge fino al 40% dei lavoratori. Un vincolo sociale e culturale che alza i prezzi, riduce le opzioni economiche e taglia fuori chi avrebbe bisogno di flessibilità per risparmiare. Le ferie d’agosto, così, da tradizione diventano trappola.
Anche restare in Italia, spesso presentato come un’alternativa “low cost”, è tutt’altro che accessibile: i prezzi nelle località turistiche continuano a salire, e le offerte davvero popolari sono sempre più rare. L’idea che le vacanze siano “a portata di tutti”, sostenuta da certa pubblicità e da certa retorica ministeriale, si scontra con una realtà fatta di rinunce.
Un miglioramento che non basta
C’è un segnale positivo: il dato del 31% è in calo rispetto al picco del 50% toccato nel 2012, nel pieno della crisi economica. Ma è un miglioramento che ha poco da festeggiare: ci sono voluti tredici anni per recuperare 19 punti percentuali. E nel frattempo il costo della vita è salito, le disuguaglianze si sono consolidate, e la ripresa è andata a senso unico.
Francia e Germania, che nel passato hanno registrato dati peggiori (rispettivamente nel 2008 e nel 2006), oggi sono tra i Paesi con la minore percentuale di esclusi. Noi restiamo invece tra i fanalini di coda. E questo, più che un destino, è una scelta politica.
Non è una questione di gusto
L’indicatore Eurostat non misura il desiderio, ma la possibilità: non conta chi non vuole andare in vacanza, ma chi non può permetterselo. Il dato si basa su risposte raccolte nelle indagini EU-SILC, che rilevano le reali condizioni economiche delle famiglie. Chi può partire ma non lo fa per scelta, è escluso dalla statistica. Chi risponde di non avere i mezzi economici, rientra.
E allora la retorica del “c’è chi preferisce stare a casa” crolla. E si scopre che le ferie, per una parte importante del Paese, sono un diritto negato. Una settimana di stacco, di mare, di montagna, di riposo, diventa un ostacolo insormontabile. E ogni estate, invece di curare, finisce per marcare la distanza. Tra chi parte, e chi resta fermo.