Violenza sulle donne, legge sul consenso bloccata: si consuma lo scontro interno tra Fratelli d’Italia e Lega

La legge sul consenso si inceppa al Senato e diventa terreno di veti e silenzi: la maggioranza regola i conti sulla pelle delle donne

Violenza sulle donne, legge sul consenso bloccata: si consuma lo scontro interno tra Fratelli d’Italia e Lega

Il passaggio dal voto unanime della Camera al gelo del Senato è durato meno di una settimana. Il tempo necessario perché il principio del «consenso libero e attuale», presentato come cambio di paradigma culturale e giuridico, si trasformasse nella miccia che ha fatto emergere crepe profonde nel centrodestra.

L’intesa costruita tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein aveva dato alla riforma una forza politica inedita. Un accordo silenzioso ma solido, saldato sull’idea che il governo potesse intestarsi una battaglia simbolica fino a rompere lo schema tradizionale delle contrapposizioni. L’unanimità alla Camera restituiva l’immagine di un Paese capace, per una volta, di procedere insieme.

Il giorno in cui doveva chiudersi tutto, invece si è aperta una crepa

Poi arriva il 25 novembre. La data che doveva blindare il testo diventa il momento in cui si consuma la frattura. In Commissione Giustizia del Senato, la presidente leghista Giulia Bongiorno alza la mano e chiede nuove audizioni: un gesto tecnico solo in apparenza. Il segnale politico è chiaro: la Lega rivendica un diritto di veto proprio nel punto in cui la premier aveva scelto di giocare la sua partita più simbolica.

La scena è rapida, quasi brutale. Le opposizioni escono dalla sala, FdI resta immobile, la Lega stringe i cordoni del dossier. Nel giro di un’ora, la riforma che doveva unire diventa l’arena in cui si misurano forze, gelosie, risultati elettorali. La strategia del Carroccio è leggibile: ribaltare la narrazione, spostare il baricentro dal consenso alla paura delle “false accuse”, rimettere al centro il garantismo declinato come arma politica. Fratelli d’Italia, invece, si ritrova stretto tra due fuochi: l’accordo costruito alla Camera e la necessità di non incendiare la coalizione.

Il silenzio di Giorgia Meloni pesa più di qualsiasi dichiarazione. Parla di contrasto alla violenza sulle donne, cita misure, rivendica altri provvedimenti, ma la legge sul consenso scompare dal suo discorso proprio nel giorno in cui tutti la aspettavano. Un’assenza che diventa presenza ingombrante, un messaggio che dentro il suo partito viene letto come rassegnazione a una battaglia interrotta.

Il regolamento di conti che nessuno vuole ammettere

Il nodo politico affiora nelle ore successive. La Lega arriva alle audizioni con il vento delle regionali, soprattutto il risultato del Veneto, dove ha doppiato FdI. Quel successo diventa cornice, leva, argomento. Lo stop alla legge sul consenso è il modo in cui Salvini mostra che nel Nord la linea la dà ancora lui.

Fratelli d’Italia se ne accorge, ma non può dirlo. La scelta di accodarsi alla richiesta di approfondimenti è un atto di disciplina apparente, dietro cui si vede la tensione di un partito che deve proteggere la premier da una sconfitta politica maturata nel giro di poche ore.

Nel frattempo, la riforma che dovrebbe tutelare la libertà delle donne smette di essere un testo legislativo e diventa un campo di battaglia. Il corpo delle donne torna a essere terreno simbolico, non soggetto di diritti ma oggetto di una contesa interna.

Il garantismo militante della Lega, la prudenza formale di FdI, il silenzio del presidente del Consiglio, le opposizioni che parlano apertamente di accordi traditi: ogni gesto racconta una parte del conflitto che la maggioranza non vuole ammettere.

Da qui si aprono tre scenari. Il primo è una chiusura rapida, con ritocchi minimi, utile soprattutto alla Lega per rivendicare un risultato senza toccare l’impianto. Il secondo è un ridimensionamento sostanziale, capace di svuotare la portata del principio del consenso e renderlo una versione attenuata di ciò che era. Il terzo è il più insidioso: un rinvio prolungato, un limbo legislativo in cui la riforma scivola fuori dal centro del dibattito e perde, lentamente, il suo valore simbolico.

In ogni caso, il punto resta lo stesso: la maggioranza ha scelto di consumare un conflitto interno sulla pelle delle donne, trasformando una riforma attesa da anni in un gesto di riposizionamento politico. E la crepa aperta in quel 25 novembre non è un incidente di percorso. È la fotografia esatta dei rapporti di forza nel centrodestra oggi.