I 5 Stelle crescono e lo spread si impenna

Il ricatto dei mercati, riparte lo spread
Le borse hanno votato, corsa a vendere i Btp

di Sergio Patti

Il 25 maggio sarà una valanga senza precedenti. Mai tanti italiani rinunceranno ad andare a votare. E speriamo in una bella giornata, così perlomeno si andrà al mare. Perché non votare e starsene pure a casa renderà ancora più plastico il distacco dalla politica e dall’Europa. Un errore fatale? Visto lo scenario che si delinea all’orizzonte, mica tanto. Il voto è sempre un esercizio di democrazia, e la democrazia è un valore assoluto, insindacabile. Ma se la democrazia è una finzione, se a New York, a Londra o a Francoforte un click sul computer può far valere zero il nostro voto, è chiaro che i più non ci stiano a farsi prendere per fessi. Di prove del despotismo dei mercati sulla democrazia dei cittadini, d’altronde, ne abbiamo ormai a bizzeffe. E la vicenda svelata dal segretario al Tesoro americano, Tim Geithner, non è che la punta di un iceberg.

Titanic Italia
Un iceberg che a differenza di quanto sostiene il nostro ministro degli Affari Esteri, Federica Mogherini, è tutt’altro che irrilevante e può farci fare la fine del Titanic. Ma d’altronde si sa: chi è al timone di certe navi resta a ballare anche quando la nave affonda. Così si fa finta di niente, ignorando i segnali che spingerebbero a seguire altre rotte. La storia è piena di tragedie frutto più del fatalismo di certe scelte che della fatalità degli eventi. Non c’è dunque da stupirsi se l’ultimo di questi funesti presagi appaia all’orizzonte ormai da qualche giorno, ma nessuno al governo voglia suonare l’allarme. Il segnale è l’impennata dello spread e il ritracciamento della Borsa. Perchè certo, ieri c’era lo stacco della cedola per molte blue chip (grandi aziende quotate), ma quello che ha avuto dell’impressionante è stata le vendita di enormi stock dei Btp italiani, soprattutto sulle piazze estere. Venti di una nuova tempesta speculativa che minaccia di abbattersi su un Paese arrivato al terzo governo non eletto e che dunque ormai dà segni d’insofferenza, percependo la sua sovranità derubata.

Un Paese ex-sovrano
Siamo liberi di votare, ma non di decidere del nostro destino. Se quindi l’orientamento popolare combacia con le aspirazione dei mercati – quei mercati che garantiti dal Quirinale hanno imposto i governi di Monti, Letta e in parte Renzi – allora lo spread cala. Se invece gli elettori non ne possono più, se nel Paese dilaga lo scontento canalizzato dai Cinque Stelle di Grillo, se ormai tutti vedono che più sacrifici facciamo più sale il debito, la disoccupazione e il disagio, allora lo spread sale. E come si è allentato, si torna a stringere il guinzaglio a quel cagnolino che oggi siamo. Un’Italia divisa, indebitata e senza più lo spirito di una nazione. I mercati così ci stanno dicendo come votare. Una ingerenza inaccettabile negli affari del nostro Paese, ma anche un preludio di quello che sarà. Grillo e gli altri partiti euroscettici si sa che vogliono uscire dall’Euro, spezzare questa catena che ci tiene bloccati tra vincoli di Maastricht e tassi decisi a Francoforte dalla Banca centrale. Il prezzo di un tale strappo, si sa, sarà altissimo, ma dopo perlomeno si potrà ripartire. Restare immobli, invece, ci consegna mani e piedi ai mercati e agli euroburocrati, asserviti ai mercati stessi, ma anche alle cancellerie. Una per tutte, quella tedesca, guarda caso unico Paese che può vantare un’economia in forte crescita. Certo, con i soldi nostri!

Finta tregua Ue
Dalla parte di chi invece vuole restare nel sistema, c’era fino a ieri il raffreddamento dello spread. E soprattutto la tregua di Bruxelles sui nostri conti pubblici, su ogni azione del governo, a cominciare da quelle di rallentamento della pressione fiscale.Argomento che non tiene in quanto la Commissione è in scadenza e in tutta Europa adesso la priorità è passare le elezioni. Subito dopo, però, c’è da giurarci, la pressione sull’Italia ricomincerà come e più di prima. Purtroppo si è entrati nell’Unione senza le necessarie uscite di sicurezza. Si è rinunciato alla nostra sovranità monetaria delegando ogni potere a una Banca centrale controllata militarmente dalla Germania (che non a caso ne volle la sede a Francoforte). L’Euro ci ha dato delle opportunità, è vero. Purtroppo però i tempi dei tassi bassi, quando avremmo potuto fare le riforme che servivano sono passati. E ora c’è solo da pagare il conto.

 

Sono i veri padroni del Paese: i Fondi oscurano la politica
Saltati i salotti buoni e il capitalismo relazionale
da BlackRock a Pamplona controllano la nostra economia

di Giovanna Tomaselli

Anni fa si diceva che il potere vero mica stava a palazzo Chigi, a Montecitorio o al Quirinale. Il potere vero in Italia era quello della banche, dei salotti ovattati dei signori Cuccia, Bazoli, Geronzi. Poi arrivò l’euro, i mercati sempre più connessi e globalizzati. E l’Italia che diventava marginale, paese periferico del Mediterraneo ci dicono, quando va bene. E il potere vero, mica quello diventato suddito della politica o quello interdittivo di certa magistratura, si è spostato fuori, esattamente come molti capitali o quelle aziende che hanno potuto, tipo la Fiat. Le decisioni che contano si sono iniziate a prendere a Bruxelles o a Francoforte, con l’avallo dei grandi gruppi finanziari internazionali. E quello che di buono c’era da comprare se lo sono pappato i grandi fondi. Nel silenzio di chi governava abbiamo dato ad altri le chiavi del Paese.

Il quadro
I salotti buoni che governavano tutto attraverso il reticolo di un polveroso capitalismo relazionale hanno ceduto di schianto, lasciando il campo ai nuovi padroni. Fondi che comprano con una sola strategia: speculare, guadagnare, scappare.
Come evidenziato da uno studio della Fondazione Bruno Visentini, oggi con 200 miliardi di investimenti hanno in portafoglio il 38% di Piazza Affari. Sono il primo azionista delle maggiori banche, da Unicredit a Intesa Sanpaolo con quote attorno al 30%, e poi di Monte Paschi e Popolare di Milano. Per non parlare dell’ammiraglia del nostro mercato, le Assicurazioni Generali (all’ultima assemblea avevano il 15,2%) e di molte altre blue chip. Ma chi sono questi Fondi? Il più attivo è oggi il colosso Usa del risparmio gestito BlackRock, entrato di recente con circa il 5% di UniCredit, Intesa Sanpaolo, Mps, Banco Popolare e Bpm (ma anche in Telecom con il 7,7%). Enormi investimenti che hanno il sapore di essere mordi e fuggi. E dunque potenzialmente svincolabili, anche in tempi stretti, con l’effetto di far saltare il nostro mercato. Anzi, di più: di distruggerlo.

Gli altri
Non di meno, nonostante dopo le perdite accumulate dal 2010 al 2012 la grande finanza si teneva lontana dall’Italia come dalla peste, BlackRock ha cominciato a comprare. E a vendere al momento giusto. Salita – per fare un sempio – al 5,7% di Mps, lo scorso 18 aprile è improvvisamente scesa al 3,2% anticipando (fortunosamente?) l’annuncio dell’aumento di capitale che fece perdere in un giorno solo oltre il 7% alla banca. Fu solo fortuna? Alla Consob, l’Authority che vigila sui mercati, hanno di che lavorare. Anche se quello che hanno di fronte è un grattacielo. Multinazionale della finanza, con oltre 4.300 miliardi di dollari in gestione, BlackRock ha la forza di uno Stato sovrano. E non si muove senza una copertura politica alle spalle. Prova ne è che proprio mentre si allargava la strategia di “occupazione” del mercato italiano, il numero uno Larry Fink ha incontrato il 27 aprile scorso il premier Matteo Renzi. Un incontro dovuto, visto che la potenza di fuoco di questo gigante è impressionante e se si muove può fare il bello e cattivo tempo di una Borsa minuscola come quella italiana. Per capirci, solo tre Paesi al mondo – Cina, Stati Uniti e Giappone – possono vantare un Prodotto interno lordo per una cifra superiore di BlackRock, non a caso primo player per masse investite a Wall Street.

Nessuno denuncia
Dopo l’ultimo acquisto in Bpm, solo questo Fondo e le sue controllate detengono oltre l’1,5% del totale della capitalizzazione delle società quotate italiane. Troppo ha gridato Grillo sul suo blog. Nel silenzio di tutto il resto della politica.