Von der Leyen sotto attacco, l’Italia si spacca: la mozione che smaschera la destra di governo

La mozione contro von der Leyen non è ancora stata votata, ma ha già fatto esplodere le contraddizioni del governo italiano in Europa

Von der Leyen sotto attacco, l’Italia si spacca: la mozione che smaschera la destra di governo

La mozione di sfiducia contro la Commissione von der Leyen non è ancora stata votata, ma ha già prodotto il suo effetto: scoprire le carte, rompere gli equilibri precari, svelare le contraddizioni che tengono insieme la maggioranza italiana a Bruxelles e a Roma. La data del voto è fissata per giovedì 10 luglio, ma il Parlamento europeo si muove da giorni come un’aula di tribunale, dove le accuse rimbalzano e gli imputati si scambiano i ruoli.

A firmare la mozione sono stati oltre 70 eurodeputati, in gran parte appartenenti alla destra radicale del gruppo ECR e al nuovo gruppo “Patrioti per l’Europa” che riunisce Lega e Rassemblement National. Il pretesto è il cosiddetto Pfizergate: la mancata trasparenza nei contratti per i vaccini Covid, in particolare gli SMS mai resi pubblici tra Ursula von der Leyen e il CEO di Pfizer, Albert Bourla. Ma il bersaglio politico è più ampio: la gestione della pandemia, la transizione verde, il piano europeo di riarmo, la presunta deriva autoritaria della Commissione. Un atto d’accusa totale, senza possibilità di appello.

La presidente della Commissione ha risposto con durezza. Ha parlato di una “caccia alle streghe” orchestrata da “burattini di Putin”, ha evocato i camion di bare a Bergamo per giustificare le scelte d’emergenza durante il Covid, ha difeso la legittimità della sua azione e ha messo i suoi avversari spalle al muro: o con l’Europa, o con il caos.

La coalizione italiana non esiste in Europa

La scena europea ha colto Giorgia Meloni in contropiede. Il suo partito, Fratelli d’Italia, fa parte del gruppo ECR da cui è partita la mozione. Ma in aula è arrivato il dietrofront. A spiegare la linea ci ha pensato Nicola Procaccini: la mozione “è un errore strategico”, “un regalo ai nostri avversari”. Dietro il linguaggio felpato si intravede l’unico vero motivo del dissenso: la presenza di Raffaele Fitto, fedelissimo di Meloni e vicepresidente della Commissione. Sfiduciare von der Leyen significherebbe sfiduciare anche lui. E Meloni non può permetterselo.

Molto diversa la posizione della Lega, che ha annunciato il suo voto favorevole. Susanna Ceccardi parla di un’agenda ideologica che ha “distrutto agricoltura e industria”, accusa la Commissione di centralismo e invoca una “svolta sovranista”. La mozione diventa così l’occasione perfetta per Salvini: attaccare von der Leyen e insieme mettere in difficoltà l’alleata-premier, svelandone le ambiguità e la dipendenza da Bruxelles.

Forza Italia, da parte sua, resta fedele al Partito Popolare Europeo. Per Sandra De Monte sfiduciare von der Leyen sarebbe “irresponsabile”, soprattutto in un momento in cui Putin mette alla prova la sicurezza europea e Trump minaccia nuovi dazi. Tajani punta tutto sulla continuità, cercando di accreditarsi come l’argine moderato dentro un governo che traballa su ogni fronte europeo.

Due destre, nessuna strategia

La mozione ha così prodotto uno dei rari momenti di verità politica. Ha spezzato il gioco delle ambiguità, ha reso visibile il disordine strategico del governo italiano, ha mostrato che in Europa ognuno va per conto suo. La destra si è spaccata tra chi vuole far saltare il tavolo e chi vuole restarci seduto. Il M5S vota a favore della mozione per coerenza anti-establishment. Il PD vota contro, ma denuncia il PPE per le sue continue strizzate d’occhio alla destra radicale.

Giovedì si voterà, ma il punto politico è già emerso: la Commissione reggerà, ma i partiti si sono già divisi. E Meloni, ancora una volta, è costretta a scegliere tra l’ideologia che l’ha portata al potere e il realismo che le impone l’Europa. Senza più la scusa dell’ambiguità.