di Vittorio Pezzuto
Pronostico confermato, purtroppo. Perché la deliberazione della giunta del regolamento del Senato, che ieri ha deciso per un solo voto di scarto la modalità del voto palese sulla decadenza del senatore Silvio Berlusconi, è innanzitutto una sconfitta per quanti si ostinano a pensare che le regole interne del Parlamento (applicate per decenni in maniera univoca) non possano essere forzate o stravolte col piede di porco della convenienza politica di parte. A pagare le conseguenze di questo strappo sarà infatti la residua autorevolezza dell’istituzione parlamentare, dimostratasi incapace di resistere alle pressioni di chi ha abdicato volentieri alla libertà di coscienza del singolo senatore (garantita dal voto segreto) pur di andare all’incasso del cadavere politico dell’avversario. Peraltro serve a poco che in molti festeggino in silenzio questo provvedimento contra personam che abbatte le residue speranze del Cavaliere di restare nelle istituzioni. Sotto il profilo politico si tratta infatti di una classicissima vittoria di Pirro, capace di ricompattare tutto il Pdl e determinare le premesse per una crisi di governo. Convocata di prima mattina, la Giunta ha adempiuto in tutta fretta al compito che le era stato affidato da alleati e oppositori di Berlusconi. Sottoposta a pressioni politiche facilmente intuibili, la senatrice montiana Linda Lanzillotta – che per settimane aveva preannunciato una netta contrarietà al voto palese – ha cambiato improvvisamente opinione lasciando in minoranza i partigiani del voto segreto. E per giustificare la sua retromarcia si è nascosta dietro argomenti capziosi: «Nel caso di specie – ha detto – non c’è dubbio che il voto non riguardi la persona ma solo il mero accertamento dell’esistenza di un presupposto di integrità morale che condiziona la composizione del Senato». Oltrettutto, ha aggiunto, «una estensione non dovuta del voto segreto andrebbe in direzione opposta a quella che ha orientato, dagli anni Novanta in poi, l’evoluzione dei regolamenti parlamentari per fare sì che le procedure di Camera e Senato si svolgano nel rispetto della Costituzione e sempre più aderendo al bisogno di trasparenza che viene da parte dei cittadini».
Colombe costrette all’assalto
Sta di fatto che non appena si è diffusa la notizia dell’esito del voto in Giunta, nei take di agenzia si è riversata la reazione di quasi tutti i maggiori esponenti del Pdl. Talmente rabbiosa da consigliare un prudente silenzio ai big del Partito democratico. E a fare notizia non sono stati i commenti prevedibili dei falchi berlusconiani quanto le parole degli stessi ministri del Pdl, che il Cavaliere si è rifiutato di incontrare a Palazzo Grazioli per un pranzo da tempo programmato. E così, per capire gli umori del leader, alle colombe governative è toccato doversi leggere le dichiarazioni di Daniela Santanché: «Cronaca di un assassinio annunciato. Oggi al Senato è stata uccisa la democrazia. Come fa ancora qualcuno a sostenere nel nome della falsa stabilità che questo governo serve al Paese? Cosa c’è di più importante per un popolo se non la democrazia e lo stato di diritto? Che i nostri ‘governativi’ ce lo spieghino». E loro, presi in contropiede, hanno così dovuto esporsi in prima persona contro gli alleati nell’esecutivo: «Questa decisione è una schifezza» (Gaetano Quagliariello); «Un gesto di irresponsabilità e di incoscienza di cui i nostri alleati di governo si assumeranno la responsabilità di fronte al Paese» (Nunzia De Girolamo); «Pur di eliminare Berlusconi si fa strame di tutto senza rendersi conto del precedente che si crea e delle sue gravi conseguenze per la democrazia in questo Paese» (Maurizio Lupi); «Una decisione assurda che va contro le prerogative parlamentari, contro il buonsenso, la ragionevolezza e contro l’interesse degli stessi italiani» (Beatrice Lorenzin). Basteranno queste dichiarazioni di facciata per placare l’ira del Cav?