Vuole diventare nobile ma perde il ricorso al Tar

di Clemente Pistilli

Non si può far scorrere sangue blu nelle proprie vene con un ricorso. I giudici non possono trasformare un uomo comune in un nobile. E inutile è anche invocare qualche parente dal cognome illustre. Niente da fare. Il Tar per la Lombardia ha respinto il ricorso fatto da un milanese che voleva chiamarsi Sforza. L’aspirante nobile, residente in un centro a pochi chilometri dal capoluogo lombardo, dieci anni fa chiese al Viminale di poter aggiungere al proprio cognome quello della nota famiglia di duchi. “E’ il cognome della mia bisnonna, vorrei ripristinare per ragioni affettive la denominazione completa familiare degli avi”, sostenne il milanese. E ancora: “Mio nonno, un avvocato, si è sempre avvalso del doppio cognome”. Nell’ottobre 2009 il provvedimento con cui il Ministero ha rigettato la richiesta. Al Viminale, analizzata la situazione, hanno ritenuto non opportuno far aggiungere al lombardo il cognome Sforza al suo. “Un benevolo accoglimento – hanno sostenuto dal Ministero dell’interno – potrebbe indurre un terzo a ritenere il richiedente discendente diretto e legittimo dell’illustre famiglia Sforza”. Sono lontani i tempi in cui proprio gli Sforza dettavano legge a Milano, quelli di Francesco, Galeazzo Maria, Giovanni dalle Bande Nere. Per il Viminale, però, anche se ormai non ci si divide più in nobili e plebei, chi non è nato Sforza quel nome non lo può sfruttare. Ha ancora un certo fascino. E potrebbe portare vantaggi. O sei Sforza o non lo sei. E se non lo sei, per il Ministero dell’interno, non puoi proprio andare in giro mostrando una carta d’identità con discendenze altolocate. “Si rischia confusione con la famiglia Sforza”, hanno spiegato sempre dal Viminale. Il milanese a un po’ di nobiltà nel nome sembra però ci tenesse davvero tanto. Non si è arreso e ha fatto ricorso, chiedendo al Tar di annullare il provvedimento con cui era stato fatto sfumare il suo sogno. Ora i giudici amministrativi di Milano hanno deciso e per l’aspirante Sforza è arrivata un’altra delusione. A reggere non è stata la sua tesi, ma quella del Ministero. Dopo dieci anni forse all’autore del ricorso non resta altro da fare che arrendersi. E restare uno del popolo.