Zingaretti schiva il fuoco amico in direzione Pd. No al Congresso anticipato, primarie confermate nel 2023. Il leader dem convoca l’assemblea per il 13 marzo

Zingaretti schiva il fuoco amico in direzione Pd. No al Congresso anticipato, primarie confermate nel 2023. Il leader dem convoca l’assemblea per il 13 marzo

Chi si aspettava un segretario rinunciatario, o addirittura dimissionario – vista la molte di attacchi dal “fuoco amico” degli ultimi giorni -, rimarrà deluso. Nella direzione Pd convocata ieri Nicola Zingaretti ha subito messo in chiaro che il congresso che lo ha eletto c’è stato nel 2019 e che dunque le primarie saranno nel marzo del 2023: nessun cambio al vertice all’orizzonte, dunque: “è giusto aprire una discussione su di noi, sulla nostra idea di Paese, che andrà fatta con franchezza dandoci delle regole, un modo di discutere”, afferma confermando l’Assemblea del partito il 13 e 14 marzo, ma con altrettanta chiarezza rivendica sia la difesa fino all’ultimo del governo Conte che il lavoro fatto per fare in modo che si arrivasse ad un nuovo esecutivo.

“Se abbiamo difeso il governo Conte è perché dovevamo giustamente difendere il lavoro della nostra delegazione, del lavoro dei gruppi parlamentari. Ora quella fase si è esaurita, è già chiusa”. E sul governo Draghi non intende affatto “cospargersi la testa di cenere” come se fosse una sconfitta, semmai – sottolinea – è la Lega ad aver cambiato pelle: “Abbiamo una rivoluzione nel sistema politico nel quale la Lega rinnova la sua identità sovranista e antieuropeista, vedremo se sarà coerente. Se fosse arrivato come primo ministro uno con le idee di Borghezio saremmo esplosi. Invece noi siamo a nostro agio in questa sfida di Draghi. È stravagante se nel momento in cui la Lega rinnega la sua identità, noi dovemmo vivere questo tempo con la cenere in testa come se fossimo sconfitti. In condizioni drammatiche abbiamo tenuto dritto il timone, abbiamo tirato fuori l’Italia dal rischio democratico. La battaglia non è finita”.

E a proposito di battaglia, stavolta tutta interna, non manca una stoccata agli ex renziani (quelli rimasti come quinta colonna nel Pd): “Stiamo attenti a non commettere errori perché il rischio di uccidere il partito a vocazione maggioritaria il Pd lo ha corso nel marzo 2018”, ha detto Zingaretti nel corso della direzione riferendosi agli appelli di chi nei giorni scorsi è tornato a mettere in dubbio l’alleanza con i 5Stelle. Il segretario dem ha infatti criticato l’isolamento in cui il partito si trovò ad affronatre le scorse elezioni politiche, che portò “alla sconfitta più grave della nostra storia”, spiegando di rivendicare un Pd a vocazione maggioritaria.

La valutazione di Base riformista, la corrente che fa capo al ministro Guerini e Lotti, rimane comunque critica: “Spostare al 2023 la discussione congressuale? Rischiamo di essere in un’altra era politica”. Altra questione “calda” quella della parità di genere: la delusione per la mancata nomina di esponenti femminili come ministre dell’esecutivo guidato da Mario Draghi, non è certo sopita e le donne dem ieri hanno chiesto un impegno maggiore al segretario per garantire una giusta rapprensentanza di genere all’interno del partito e la sostituzione del vicesegretario Andrea Orlando, ora ministro del Lavoro, con una donna, probabilmente Cecilia D’Elia.

“Si ritiene urgente ed essenziale che venga rispettato il principio della parità di genere a tutti i livelli e in tutti gli organismi sempre e che si assumano iniziative adeguate; nel rispetto dell’autonomia dei gruppi parlamentari, il principio va applicato ovunque, a cominciare dalla nomina di una vicesegretaria donna, più in generale introdurre una riflessione sull’ipotesi di mutuare l’esperienza della guida duale”. è quanto si legge – tra le altre cose – nel dispositivo dell’odg messo ai voti ieri e approvato a larga maggioranza.