Zingaretti tentenna sul codice etico. Dem verso la rottura. Lotti e Ferri restano al loro posto nonostante lo scandalo toghe

In base al codice etico del Pd sia l’ex ministro Luca Lotti che l’ex sottosegretario Cosimo Ferri sembra dovessero essere messi alla porta subito dopo quanto è uscito dalle intercettazioni sul cosiddetto caso Palamara. E invece no. Tra i dem nessuno ne parla. Lotti si è autosospeso dopo aver ricevuto qualche bordata soprattutto dal tesoriere Luigi Zanda, Ferri resiste e il segretario Nicola Zingaretti tace. Come spesso fa tentenna. Eppure il codice etico appunto prevede che i dem siano lontani “da qualunque pretesa di invadenza e di lottizzazione”. E stabilisce anche che non abusano “della loro autorità o carica” e “rifiutano una gestione oligarchica o clientelare del potere, logiche di scambio o pressioni indebite”.

Il contrario all’apparenza dello spaccato emerso sulle nottate trascorse dai due esponenti dem con Palamara e gli altri magistrati coinvolti nella vicenda. L’unico risultato prodotto nel Pd dall’accaduto è stato così quello di riaccendere la guerra tra renziani e non renziani. Mentre Simona Bonafede, legatissima all’ex segretario, parlando dell’autosospensione di Lotti ha detto che per lei la vicenda finisce lì, Anna Ascani ha sollecitato un intervento di Zingaretti e Roberto Giachetti, fedelissimo di Matteo Renzi è andato anche oltre parlando di accanimento e fuoco amico contro Lotti. Carlo Calenda, ribadendo la sua critica al comportamento dell’ex ministro renziano, ha quindi chiesto a Paolo Gentiloni di chiamare “a raccolta tutte le componenti” per costruire “un Governo ombra con cui stanare questo Governo”.

Durissimo il neoeurodeputato Franco Roberti: “Aboliamo le carriere dei magistrati. Stiamo vivendo uno spettacolo indecente con l’inchiesta di Perugia e il linguaggio che emerge dalle intercettazioni è riprovevole”. L’armistizio siglato dopo le primarie è già finito. La faida si è riaperta e il destino del già malandato centrosinistra è sempre più buio.