Zohran Mamdani ha ribaltato New York, con l’onda dem che ha travolto Trump

Zohran Mamdani ha conquistato New York trasformando la crisi del costo della vita in mobilitazione politica e consenso popolare

Zohran Mamdani ha ribaltato New York, con l’onda dem che ha travolto Trump

La notte del 5 novembre 2025 New York ha avuto l’impressione di assistere per un attimo a un futuro possibile. Quando le proiezioni hanno assegnato la vittoria a Zohran Mamdani, trentiquattro anni, nato a Kampala da una famiglia indiana della diaspora e cresciuto nel Queens, le reazioni sono sembrate più grandi della città. Per alcuni, è l’ascesa di un outsider socialista alla guida della metropoli simbolo del capitalismo globale. Per altri, il ritorno della politica come campo di possibilità collettive: una campagna che non ha cercato la legittimazione dell’establishment e che pure è riuscita a rovesciarne gli equilibri. È il primo sindaco musulmano nella storia di New York, e il più giovane da oltre un secolo, eletto con un’affluenza record.

Una vittoria costruita sull’affluenza

Il dato più rilevante è stato l’affluenza: oltre due milioni di votanti, il livello più alto in un’elezione municipale dal 1969. Non un voto di protesta episodico, ma una mobilitazione strutturata, resa possibile da una campagna ibrida: porta a porta «anni ’70» e regia digitale su TikTok e Instagram, con performance calcolate per tradurre la politica in immagini. Il tuffo a Coney Island per promettere il «congelamento» degli affitti. La maratona documentata in prima persona. Il tormentone «Halal-flation» davanti ai carretti del cibo di strada.

Mamdani ha vinto attivando elettori che da anni non votavano, soprattutto giovani e comunità immigrate, costruendo una coalizione che ha superato la tradizionale geografia del voto progressista. Il centro della sua proposta politica è una parola precisa: affordability, accessibilità economica.

In una città dove l’affitto medio supera lo stipendio di un insegnante e dove servizi essenziali sono diventati beni di lusso, Mamdani ha tradotto la crisi del costo della vita in una piattaforma amministrativa: congelamento degli affitti regolamentati, trasporto urbano gratuito, asili nido universali, salario minimo a 30 dollari, supermercati municipali nelle aree a monopolio privato, finanziati tramite una tassazione più alta su grandi patrimoni e corporation.

Gli avversari, in particolare Andrew Cuomo, lo hanno descritto come un radicale irresponsabile. La stampa dei grandi editorial board ha ripetuto la minaccia implicita che ricorre da decenni: se si toccano i molto ricchi, la città collassa. La risposta degli elettori ha dimostrato che quella narrazione non è più egemone.

Il silenzio dei grandi nomi democratici è stato altrettanto significativo: Chuck Schumer non lo ha sostenuto, Barack Obama non lo ha appoggiato pubblicamente, Hakeem Jeffries ha espresso un sostegno tardivo e prudente. Il risultato è stato paradossale: l’assenza dell’establishment lo ha reso più credibile.

La frattura su Gaza e la scelta della chiarezza

Il punto di tensione più forte è stato Gaza. Mamdani non ha modulato il linguaggio: ha parlato di «genocidio» e «apartheid». Ha dichiarato che avrebbe rispettato un eventuale mandato della Corte Penale Internazionale contro Netanyahu. Sono seguite accuse di fomentare ostilità verso la comunità ebraica, prese di posizione ufficiali dal Consolato israeliano e campagne mediatiche che lo indicavano come un pericolo.

Mamdani però non ha cercato l’aggiustamento. Ha affiancato a quella chiarezza una posizione pragmatica sul piano interno: si è scusato per la retorica del “defund” del 2020, ha proposto una ri-allocazione delle competenze con un Dipartimento per la Sicurezza della Comunità incaricato di rispondere alle chiamate di salute mentale con operatori sanitari, e ha dichiarato di voler mantenere la guida attuale del NYPD nella fase iniziale.

La combinazione fra posizione netta sulla politica estera e prudenza amministrativa locale ha consolidato il sostegno di giovani, comunità migranti e settori progressisti che riconoscono la coerenza come forma politica.

Il significato della vittoria nel contesto politico più ampio

La vittoria di Mamdani è avvenuta nella stessa notte in cui Abigail Spanbergerin Virginia e Mikie Sherrill in New Jersey, entrambe moderate con profili di sicurezza nazionale, hanno vinto le rispettive elezioni. È l’indicazione di una dinamica chiara: il Partito Democratico vince quando adatta il candidato al territorio. Dove prevale l’elettorato suburbano indeciso funziona la moderazione. Dove la crisi della vita quotidiana è sistemica, un programma socialista può diventare maggioritario.

La campagna di Mamdani non ha avuto l’appoggio dell’apparato. I miliardari hanno finanziato PAC contro di lui, e Donald Trump ha appoggiato Cuomo, trasformandolo nel rappresentante del blocco di potere tradizionale. In risposta, la campagna ha costruito una rete autonoma, alimentata da volontari e simboli condivisi. Il tuffo a Coney Island non era folklore: era una sintesi politica.

Il risultato finale dice questo: una campagna può vincere anche senza l’appoggio degli apparati, se riesce a trasformare la condizione materiale di vita in narrativa collettiva. E se assume posizioni chiare, riconoscibili, non difensive.

La domanda che resta non è se Mamdani riuscirà a governare. La domanda è che cosa significa oggi, nelle grandi città occidentali, il diritto di restare, il diritto di non essere espulsi dal costo della vita, dalle rendite, dagli investimenti speculativi.

New York non offre un modello. Offre un indizio: l’entusiasmo non è un’emozione. È una tecnologia politica.