Allarmismi e bugie sull’Iva. Cala la fiducia delle imprese. Poteri forti e opposizioni creano tensione. Ma intanto i veri ricchi puntano sulla crescita

A furia di sentir dire che le cose vanno male famiglie e imprese continuano a perdere fiducia nella ripresa

A furia di sentir dire che le cose vanno male, presto aumenterà l’Iva e magari arriva pure la patrimoniale, famiglie e imprese continuano a perdere fiducia nella ripresa, come ha rivelato ieri l’Istat. Non che questo sia un indice fondamentale, ma dietro la percezione di chi produce e di chi consuma si vede chiaramente il danno che lo stesso sistema economico nazionale sta facendo al Paese pur di dare continuamente addosso al Governo. La grande industria e i suoi giornaloni di complemento, in perfetta sintonia con i partiti di opposizione, ci ripetono come un disco rotto che l’Italia è al tracollo, molto spesso travisando totalmente numeri e atti parlamentari.

Chi sfoglia i quotidiani e segue i talk politici in tv avrà ben presente che la moda del momento è dare per scontato l’aumento dell’Iva, addirittura già annunciato nel Def e nelle audizioni del ministro del Tesoro Giovanni Tria al Parlamento. Ovviamente non c’è niente di più falso, in quanto il Def e il ministro Tria prendono semplicemente atto delle clausole di salvaguardia sul livello del deficit inserite già dagli Esecutivi precedenti, mentre pure i sassi sanno che Movimento Cinque Stelle e Lega per voce dei loro leader hanno escluso in cento occasioni questo nuovo salasso fiscale. Trovare i soldi certo non sarà facile, perché si parla di circa venticinque miliardi, ma nel corpaccione della spesa pubblica – che supera gli 800 miliardi l’anno – di sicuro qualcosa da tagliare si trova se davvero lo si vuole.

Ciò nonostante, anziché prendere atto di quelli che non sono surreali retroscena politici ma impegni solenni agli elettori, i giornali abbondano di previsioni su quanto ci costerà l’aumento dell’Iva e persino su chi pagherà di più e di meno, inventando di sana pianta, col risultato se non di convincerci almeno di farci preoccupare. È così che si spiega il calo della fiducia rilevato dall’Istat, peraltro il terzo ribasso consecutivo. E dire che sempre lo stesso Istituto nazionale di statistica da inizio d’anno ci sta fornendo non stime ma dati ufficiali molto diversi, con una netta ripresa a gennaio e febbraio della produzione industriale e una proiezione di crescita a marzo con la quale dovremmo uscire dalla fase di recessione.

Nulla che non confermi la debolezza dell’attuale fase ciclica, ma in questa rappresentazione a senso unico e negativo dello scenario economico i furbi – spesso amici di chi stampa certi giornali – investono sulla fiducia e sulla crescita (basti pensare che il primo trimestre della Borsa Italiana è stato il migliore degli ultimi nove anni, con cento miliardi puntati sulle nostre imprese e l’aspettativa che quest’anno distribuiscano ricche cedole) mentre chi quei giornali si limita a leggerli (e a crederci) si deprime, si sfiducia, perde occasioni di guadagno e magari torna a votare per Pd e Forza Italia, paradossalmente rivalutati malgrado sicuramente governavano loro al tempo in cui ci mettevano in mutande come siamo.

Così nascono autentiche leggende metropolitane, come l’aumento dei tassi sui mutui di cui si parla dal giorno uno in cui è partita la maggioranza gialloverde. I cattivoni populisti e sovranisti che sfidavano apertamente i mercati e i vincoli dell’austerità arbitrariamente fissati dai trattati europei avrebbero dovuto farci pagare un mucchio di più a chi aveva da pagare casa o a chi l’avesse voluta comprare chiedendo un prestito in banca. Ebbene, è passato quasi un anno da allora, e nonostante siano terminati i preziosi aiuti della Banca centrale europea (e questo spiega perfettamente i circa cento punti di spread in più sul debito pubblico) i tassi sono rimasti bassi e in qualche caso anche diminuiti.

Le uniche cose perse sono le tracce di chi creava allarme, oggi passato a spargere altri timori con l’Iva, il Pil, i mercati internazionali che non ci compreranno il debito pubblico, mentre invece persino le aste a cinquant’anni fanno il tutto esaurito, e se qualcuno investe miliardi di euro sui famigerati Btp matusalemme, che renderanno il capitale tra mezzo secolo, evidentemente tutta questa decantata sfiducia non c’è. Perché allora la retorica prevalente, persino nelle discussioni tra persone mediamente più informate, è quella di un Paese allo sfascio, senza presente e senza futuro? La ragione in realtà è solo una: chi ha fatto per decenni il pieno di fondi pubblici, ha gestito potere e fatto affari, non si rassegna alla fine della mangiatoia. Perciò continueranno a raccontarci che va tutto male e pure peggio, anche se non è così.