Aperol Pappalardo fa il patriota. Ma scappa dalle tasse italiane. Residenza in Tunisia per godere del fisco più leggero. Intanto però agita i forconi accusando Conte di ogni cosa

Sabato Milano, domenica Bari, oggi Roma. Un paio d’ore dopo la manifestazione del centrodestra a Piazza del Popolo i gilet arancioni, sempre nella stessa piazza, insceneranno la loro protesta. “Questo Governo deve cadere immediatamente e io ho già denunciato Giuseppe Conte per estorsione aggravata, attentato alla Costituzione e abuso d’ufficio: saranno 19 anni di carcere e se li farà, ve lo posso garantire io”, annuncia bellicoso l’ex generale Antonio Pappalardo alla guida del movimento che trae ispirazione dai gilet gialli francesi. E c’è di più: “Se domani incontriamo il premier noi lo arrestiamo”. E ancora: “Dopo aver fatto cadere il governo inviteremo il popolo a votare un’assemblea costituente di 180 persone che scriva la nuova legge elettorale. A ottobre andremo a votare il nuovo Parlamento. E il movimento gilet arancioni si presenterà alle elezioni”.

SMASCHERATO. Ma il movimento ci aveva già provato a presentarsi alle ultime regionali in Umbria. Candidato presidente proprio Pappalardo. Aveva ottenuto appena 587 voti (pari allo 0,13%). Quello che però colpisce del “patriota”, che sogna un “ritorno alla lira italica”, è la sua passione per la Tunisia. In un video che risale all’inizio dell’anno confessa che sta per prendere (dal primo marzo) la residenza in Tunisia dove intende trascorrere almeno sei mesi l’anno. E invita tutti i pensionati a fare altrettanto. I motivi sono presto elencati: clima ideale, delinquenza zero, buon cibo, bassi costi, ragazze “belle e aperte”. E soprattutto si percepisce “uno stipendio lordo, non si pagano le tasse”. Un video e dichiarazioni che, alla luce delle recenti manifestazioni, sono diventate ben presto virali sui social. In un’intervista al Corriere della Sera di ieri si schermisce: “Io vivo con la mia pensione di generale, 3.800 euro al mese, e ho pure rinunciato al vitalizio, che pure erano altri 1.200 euro”. E già perché Pappalardo è stato pure parlamentare.

LA CARRIERA. Nato a Palermo nel 1946, figlio di un brigadiere dei carabinieri entra a sua volta nell’Arma scalandone i gradi e conseguendo anche una laurea in giurisprudenza. Nel 1981, da tenente colonnello, entra nel Cocer, il “sindacato” delle Forze Armate di cui diventa presidente nel 1991. Nel 2000 diventa generale di brigata. Nel frattempo però ha intrapreso la carriera politica, venendo eletto nel 1992 come deputato indipendente nelle liste del Psdi. Fonda un suo movimento politico, Solidarietà democratica, con cui si candida senza successo come sindaco di Pomezia nel marzo 1993. Si risolleva dalla sconfitta grazie a Carlo Azeglio Ciampi, che il 6 maggio lo nomina sottosegretario alle Finanze nel primo governo tecnico della storia repubblicana. Carica che verrà revocata nemmeno due settimane dopo: l’11 maggio il tribunale militare lo condanna a otto mesi di reclusione per una diffamazione ai danni del Comandante generale dell’Arma.

Pappalardo cerca di restare in politica candidandosi a Roma e poi alle Europee del 1994, ma con scarso successo. Nel 2006 torna ancora come leader dei forconi. Si candida a sindaco di Palermo nel 2011 con il Melograno mediterraneo, ma la lista è esclusa dalla corsa. È uno degli artefici della “rivolta dei tir” che nel 2011 paralizza le strade a lunga percorrenza italiane. Nel 2019 torna in piazza per chiedere aiuti per gli olivicoltori pugliesi colpiti dalla Xilella. Dopo un rinvio a giudizio per offesa all’onore del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, l’ultima iniziativa con i gilet arancioni declinata ai tempi del virus. Il Covid per Pappalardo è un trucco utilizzato per imporre un nuovo ordine sociale e dunque si manifesta senza mascherine e senza rispettare il distanziamento sociale.

Pazienza per le denunce e per le multe. Del resto un’inchiesta per il movimento dei Forconi, con al vertice Pappalardo, era arrivata anche quando lanciarono la solita iniziativa degli arresti, in quel caso dei parlamentari, dopo la bocciatura del Porcellum da parte della Consulta. In quel caso a indagare fu la Procura della Repubblica di Latina, con tanto di perquisizioni all’alba. Il generale non finì tra gli indagati e si precipitò nel capoluogo pontino, il giorno del blitz, a difendere chi si era trovato con la Digos alla porta, organizzando in tutta fretta anche una conferenza stampa in un locale pubblico al mare. Ora si ricomincia, con la minaccia degli arresti da parte del popolo, le manifestazioni di piazza e di nuovo l’intervento della magistratura.