Arata dettò l’emendamento a Siri. Ma i 5S si misero di traverso. Nuove intercettazioni inguaiano l’ex sottosegretario

Ora sostenere che l’indagine sul giro corruttivo per l’eolico, costata il posto di sottosegretario a Armando Siri, fosse tutta un’invenzione sarà piuttosto complicato. Infatti nell’informativa della Dia, lunga ben 310 pagine, ci sono un fiume di intercettazioni che gettano ombre sinistre nel rapporto tra politica e imprenditoria. Tra le tante spiccano quelle sulla presunta mazzetta pagata da Arata al politico della Lega.

Politici come banche. Si usano e si pagano.
Gli intrallazzi con cui risolvere ogni sorta di impedimento burocratico capitasse a tiro, sono finiti spesso al centro delle conversazioni di Paolo Arata. In una di queste, avvenuta lo scorso 20 settembre, l’imprenditore genovese ne parlava senza peli sulla lingua con un amico. Un’intercettazione chiave in cui, pur non facendo esplicito riferimento alla presunta tangente, a venir tirato in ballo è stato proprio Siri e, più in generale, i rapporti malati tra imprenditoria e potere. A prendere la parola è Paolo che spiegava: “Un po’ di politici li conosciamo… ma loro sono come le banche, li devi usare!”. Parole che avrebbero fatto sobbalzare chiunque ma che non facevano scomporre l’amico che ridacchiando, confermava: “Esatto!”. Ancora una volta era Paolo a chiarire ulteriormente il concetto: “Li devi usare… e ogni volta che li usi, paghi! Basta! Non è che c’è l’amico politico, non c’è l’amicizia in politica. Io ho avuto uno solo amico politico che combinazione era il numero due della Lega, che è quello che abbiamo fatto prendere Giorgetti, che si chiamava Leoni… (…) la Lega è nata con lui e Bossi… e con Giuseppe si era stabilito che c’è ancora adesso un rapporto di grande amicizia”.

Presunta mazzetta. I trentamila euro.
Dalle lettura dell’informativa della Dia emerge come Paolo Arata fosse ossessionato e preoccupato per l’andamento dei propri affari per i quali, stando alle sue parole, era disposto a tutto anche pagare l’amico Siri. Nell’ennesima conversazione con il figlio Francesco e con Manlio Nicastri, quest’ultimo primogenito del re dell’eolico Vito Nicastri, anch’esso indagato e oggi diventato collaboratore di giustizia, non fa mistero delle proprie paure. Paolo: “ ragazzi io c’ho il problema… quello che non mi fa dormire di notte è il fronte incentivi… perché la grande soluzione di tutti i problemi nostri è lì (…) l’emendamento non è stato fatto bene mi ha detto il vice ministro, che mi ha chiamato prima, e gli do trentamila euro tanto perché sia chiaro tra di noi… io ad Armando Siri ve lo dico…”. Francesco: “Si, l’hai già detto…”. Ma Paolo ormai è un fiume in piena: “La gente va pagata è inutile che ti fa un piacere… fa un piacere che a me, a noi, costa un milione di euro quel piacere eh… non è che sono trentamila euro… quindi lui m’ha detto io ho provato a portare nel mille proroghe l’emendamento generale ma non è passato, è fatto male”. Poi, dopo una breve pausa, tagliava corto: “Quindi io devo trovare adesso uno bravo… e uno adatto già ce l’ho in testa”.

Decreto rinnovabili. Con il fai da te.
In qualità di imprenditore dell’eolico, Arata sapeva bene cosa avrebbe voluto all’interno del decreto sulle rinnovabili. Ma stando alle intercettazioni contenute nell’informativa della Dia di Taranto, piuttosto che suggerire come il testo sarebbe dovuto essere, preferiva agire lui stesso in prima persona. Lo si evince dall’intercettazione del 17 maggio 2018 in cui, al figlio Federico, raccontava: “Ci mettiamo mano al 100% al decreto sulle rinnovabili, l’ho fatto bloccare”. Le cose non andarono come Arata sperava, tanto che lui stesso si lamentava dell’ostruzionismo di M5S.

Il fedelissimo di Salvini asservito a interessi privati.
Imprenditore, ex deputato di Forza Italia ma soprattutto neo consulente per l’energia della Lega. Con queste credenziali e grazie ai buoni canali costruiti nell’arco degli anni, Paolo Arata aveva più potere di quanto si possa immaginare. Nell’informativa, finita nel fascicolo d’inchiesta in cui l’imprenditore genovese risulta iscritto per corruzione e dove figura l’ex sottosegretario e senatore leghista Armando Siri, c’è un intero paragrafo dedicato al loro rapporto. Fiumi di parole, catturate nel corso delle intercettazioni, da cui emerge un quadro a tinte fosche dove, nonostante le urne avessero da poco premiato il Movimento 5 Stelle e la Lega, la vecchia politica non si era affatto arresa. Anzi riusciva ancora ad esercitare il proprio potere. Nel mese di maggio, durante i tentativi di formazione dell’Esecutivo gialloverde, mentre le due forze di maggioranza tentavano di fissare i punti fermi del cosiddetto contratto di Governo, Arata “tentava ogni strada possibile per agevolare Siri ed il figlio Federico, verso l’ottenimento di un incarico governativo”.

Per riuscire nei propri intenti, l’imprenditore genovese, il 15 maggio 2018, incontrava Gianni Letta (non indagato, ndr). Può sembrare un incontro di poco conto, per giunta avvenuto in presenza del figlio Federico Arata, ma quella conversazione, non riportata all’interno dell’informativa, in realtà metteva in moto una catena di eventi culminata con la nomina a sottosegretario di Siri. Il giorno dopo, infatti, a squillare era il telefono del senatore leghista ma, cosa ben più sorprendente, era che a chiamarlo era stato Silvio Berlusconi. Una telefonata, scrivono gli investigatori, “della quale non sono noti i contenuti” ma della cui esistenza se ne viene a sapere de relato ossia perché gli intercettati ne parlavano tra di loro. A svelare la circostanza, infatti, era stato Marco Luca Perini, per gli inquirenti strettamente legato a Siri come dimostrato dalla successiva nomina a Capo della sua Segreteria, durante una conversazione con Arata del 16 maggio 2018.

In quell’occasione il primo raccontava: “So che oggi… Armando ha ricevuto una telefonata da… Arcore!”. Arata non sta più nella pelle e, secondo gli investigatori riferendosi al dialogo con Letta, rivelava: “Ah! Ah! Ah! Quindi è stato utile l’intervento che noi abbiamo fatto”. Perini però era cauto: “Non conosco il contenuto perché al momento non ho avuto l’occasione di approfondire (…) però so che ha ricevuto questa telefonata”. Così Arata sembrava accusare il colpo prima di chiedere timidamente: “Ma è positivo sicuro, no? Sennò… le cose negative non si comunicano”. Perini: “Questo è vero. (…) Nel tuo appuntamento (con Letta secondo gli inquirenti, ndr) come ti era sembrato?”.

Arata: “Molto bene… mooolto bene. Mi ha detto: ma non l’ho ancora fatto, allora intervengo subito… ci mancherebbe altro.. è una persona che noi stimiamo molto”. A riprova dell’avvenuto incontro tra Letta e Arata c’è anche l’intercettazione tra quest’ultimo e il figlio con il primo che raccontava: “Pensa un po’ che Armando l’ho fatto chiamare io da Berlusconi… cazzo non c’era riuscito… devo dire che Letta è sempre un amico”. Manovre complesse per spingere Siri verso un incarico governativo che, però, la stessa informativa non riusciva a spiegare nel dettaglio tanto che nel documento si legge: “a dire dell’Arata, Gianni Letta si sarebbe anche adoperato per intervenire (non si sa in che termini) su Giancarlo Giorgetti in favore del figlio Federico Arata”.