Asse Lega-Pd per far fuori Salini. In Rai ripartono i giochi di potere. I dem non hanno digerito lo stop al ritorno di Orfeo. Ma i 5S avvertono: se salta l’Ad si scatena il caos

Rai: di tutto, di più. Le promesse dello spot della Tv di Stato danno una vaga idea degli scenari che, puntualmente, si aprono nell’azienda di Viale Mazzini in seguito al braccio di ferro tra le forze politiche che la governano. E, così, sul destino dell’amministratore delegato, Fabrizio Salini, non è escluso che possano formarsi inedite alleanze che non rispecchiano quelle che reggono l’attuale governo. Il ministro dell’Economia Roberto Gualteri, uomo del Pd, sarebbe pronto ad accompagnare alla porta il manager voluto dai Cinque Stelle. O meglio: se Salini non si decidesse a farsi da parte da solo, una volta conclamata la rottura del rapporto di fiducia con l’azionista di maggioranza, verrebbe “revocato”. I due potrebbero incontrarsi già lunedì.

La riforma della Rai voluta da Matteo Renzi prevede che l’amministratore delegato rimanga “in carica per tre anni dall’atto di nomina e comunque non oltre la scadenza del consiglio di amministrazione, salva la facoltà di revoca da parte del consiglio di amministrazione, sentito il parere dell’assemblea”. Ovvero Gualtieri stesso. Il punto non è tanto procedurale ma politico. “Tecnicamente è possibile ma si scatenerebbe il caos. La verità è che dietro c’è chi nel Pd brama per avere Mario Orfeo al Tg3”, spiegano a La Notizia dai piani alti dei Cinque Stelle. L’ira funesta dei dem verso Salini parte da lontano, più indietro nel tempo rispetto al comizietto di Matteo Salvini, andato in onda nell’anteprima di Porta a Porta durante l’intervallo della partita Juventus-Roma.

Al Nazareno non tollerano la mancata nomina di Orfeo. Sul cui nome c’è sempre stato il veto dei pentastellati. E questa insofferenza nei confronti di Salini accomuna il Pd all’arcinemico leghista. Il Carroccio rinfaccia al manager romano di aver silurato Teresa De Santis da Rai1. A far quadrato attorno a Salini finora sono stati i pentastellati e Fratelli d’Italia. E questo ha dato vita a inedite convergenze. Come quelle registrate nel cda del 14 gennaio in cui le otto nomine, proposte da Salini, di direttori di rete e aree tematiche sono passate solo in parte (4) a maggioranza. Che il parere del cda non fosse vincolante ha fatto sì che andassero tutte in porto. In quell’occasione a favore di Salini hanno votato FdI (Giampaolo Rossi) e M5S (Beatrice Coletti).

I meloniani, ricordiamo, hanno ottenuto diverse poltrone. Prima fra tutte Rai2 (Ludovico Di Meo). Dall’altra parte, invece, c’erano Lega e Pd. Che hanno votato contro (il leghista Igor De Biasio) o si sono astenuti, come il presidente salviniano Marcello Foa e la consigliera, in quota Pd, Rita Borioni. A fare da ago della bilancia il consigliere espresso dai dipendeti Rai Riccardo Laganà. Lo schema rischia di ripetersi sul destino dell’ad. Ma ci sono alcune variabili da considerare. I 5S sono rimasti orfani di Luigi Di Maio che ha fino a ieri sussurrato a Salini i desiderata dei pentastellati e si è fermamente opposto al valzer di nomine ai notiziari (leggi: veto su Orfeo). Ora il reggente Vito Crimi confermerà la sua linea? Si narra che Salini, se il M5S desse il via libera, sarebbe pronto a mettere sul tavolo del prossimo cda di giovedì 30 le famose nomine per le direzioni dei telegiornali.

Una mossa per placare l’ira del Pd e salvare il suo posto in Rai. Poi ci sono le elezioni di domenica. Che inevitabilmente si rifletteranno sui rapporti di forza tra i giallorossi. Nell’ipotesi, infine, in cui si tentasse di azzerare l’intero cda, nato nell’era del governo gialloverde, la Lega avrebbe poco da scherzare. Il Carroccio solo in sogno potrebbe riavere un Foa alla presidenza della Tv di Stato.