Bombe italiane sui civili in Yemen. I pm archiviano tra mille dubbi. Vendute armi anche quando l’eccidio era noto a tutti. A dirlo è la stessa Procura. Tre Ong fanno ricorso

La decisione del Procuratore di Roma è semplicemente “incomprensibile”. Le parole utilizzate dalle tre Ong – il Centro europeo per i diritti costituzionali e umani (Ecchr), l’organizzazione yemenita Mwatana For Human Rights e la Rete Italiana per il Disarmo – sono ponderate e altrettanto chiare. Tutto nasce dalla denuncia penale presentata nel 2018 e riguardante la vendita delle fatidiche bombe dall’Italia all’Arabia Saudita, che sono state sganciate anche sulla popolazione civile nella guerra in Yemen. Come accaduto l’8 ottobre 2016, quando una famiglia di sei persone è stata uccisa in un attacco aereo.

Nel luogo dell’attacco, non a caso, sono stati rinvenuti resti di bombe tra cui un gancio di sospensione prodotto da Rwm Italia, una società controllata del produttore tedesco di armi Rheinmetall. Proprio da lì partiva l’esposto del 2018, sul quale però oggi la Procura di Roma ha deciso di chiedere l’archiviazione. Ma ecco il punto: le tre organizzazioni della società civile, proprio (e paradossalmente) a partire dalle evidenze raccolte in fase di inchiesta, presenteranno appello. “Questo caso non riguarda solo aspetti economici o vantaggi commerciali impropri, ma si basa sulla potenziale co-responsabilità dell’Italia nei crimini commessi nello Yemen”, dicono le Ong in una nota congiunta.

Il punto è capire se i dirigenti della Rwm Italia e i funzionari dell’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (Uama) della Farnesina hanno favorito con le loro azioni e decisioni crimini commessi dalla coalizione saudita. Sul punto è ancora più chiaro Francesco Vignarca, portavoce della Rete per il disarmo: “La timeline intreccia fatti oggettivi, nel momento in cui sono state rilasciate le autorizzazioni le notizie sulle violazioni commesse erano note. Tutti erano consapevoli del conflitto in Yemen, nessuno può dire: noi non sapevamo”. In particolare, le ong spiegano che i documenti dell’inchiesta mostrano come ancora a novembre 2017 siano state concesse autorizzazioni ad esportazioni di armi ai sauditi, nonostante le documentate gravi violazioni del diritto umanitario internazionale e le gravi violazioni dei diritti umani.

I documenti mostrerebbero, secondo le Ong, come il processo decisionale svolto dall’Uama non sia stato conforme non solo alla legge italiana, ma anche al Trattato internazionale sul Commercio di Armi. Come se non bastasse, è stata la stessa Procura a confermare che il gancio di sospensione prodotto da Rwm Italia e trovato sulla scena dell’attacco in cui è morta l’intera famiglia di 6 persone potrebbe essere stato esportato nel Novembre 2015, epoca in cui anche l’Onu aveva già documentato le ripetute violazioni. Insomma, il dubbio è che non si sia indagato in maniera sufficiente sulle esportazioni da parte di Rwm Italia e sulle relative licenze. Le organizzazioni non si arrenderanno. Vedremo cosa deciderà il gip in una vicenda sulla quale le violazioni del diritto, nazionale e internazionale, sembrerebbero palesi.