Bye bye Italia, firmato Fiat

Di Carola Olmi

Da ieri Fiat è cittadina del mondo. E comunque non più italiana. L’assemblea dei soci del Lingotto ha approvato la fusione con Chrysler e il trasloco del gruppo automobilistico tra Usa, Regno Unito e Olanda. In Italia non restarà niente, oltre la storia del gruppo. Neppure le assemblee, che d’ora in poi si svolgeranno all’estero. Perchè l’Italia è ormai un perimetro troppo angusto per un’industria dell’auto che ha bisogno di puntare su mercati in maggiore salute. Essere italiani, in sostanza, è un lusso che non ci si può più permettere, come l’Ad Sergio Marchionne ha detto esplicitamente: “Di fronte alle grandi trasformazioni in atto nel mercato, non possiamo più permetterci il lusso di guardare alle nostre attività riducendo la prospettiva ai confini storici o ai domicili legali”. Entro fine anno dunque la nuova società sarà quotata anche a Wall Street. E saluti a Torino.

L’Italia è un lusso
Su questo aspetto Elkann ha negato che Fiat stia abbandonando l’Italia. “Non andiamo all’estero – ha detto – ma continuiamo a fare quello che stiamo facendo, semplicemente si è ampliato di molto il nostro perimetro di attività”. E per questo ha smentito un disimpegno sul gruppo auto da parte di Exor (la cassaforte della famiglia Agnelli) che controllerà la nuova società con il 30% e la cui quota potrebbe salire fino al 46% in seguito all’attribuzione delle azioni a voto maggiorato previste dal diritto olandese: “Voglio confermare il mio impegno personale e della mia famiglia – ha rassicurato Elkann – nel continuare a sostenere Fca e il suo management, a maggior ragione oggi che si profilano all’orizzonte grandi opportunità”.

Salto epocale
La fusione tra Fiat e Chrysler, da cui nasce la nuova Fca, rappresenta in ogni caso un salto epocale, perché dopo 115 anni segna la fine di un lunghissimo ciclo storico. Una scelta che non tutti gli azionisti potrebbero condividere, tanto che il Lingotto ha fissato in 500 milioni la cifra massima da spendere per liquidare i soci contrari alla fusione che scelgano di uscire dal capitale. Chi ha votato contro e chi si è astenuto potrà farne richiesta nei prossimi 15 giorni e avrà diritto a ricevere 7,727 euro per azione. Prezzo calcolato in base al valore medio del titolo negli ultimi sei mesi e superiore al corso attuale, 7,1 euro. Ma considerato che ieri in assemblea i voti contrari sono stati pari a quasi l’8% del capitale, il rischio che il tetto sia sforato è concreto. Di qui l’appello, dallo stesso Jonh Elkann a Marchionne, a non scappare. E se dunque i 500 milioni potrebbero non bastare i manager hanno ostentato sicurezza contando che tutto fili liscio.

Tanti debiti
Quanto all’Italia, il manager italo-canadese ha promesso di “rispettare l’impegno per il rientro di tutti i dipendenti nelle fabbriche italiane”, Mirafiori e Cassino. Smentite le voci su fusioni con Volkswagen e Peugeot e rivendicati i risultati di Chrysler, che ha aumentato le vendite del 20 per cento sul mercato americano. Crescita che però non esclude la necessità nuovamente evocata di un aumento di capitale anche se il gruppo ha attualmente 30 miliardi di debiti ma anche 22 di cassa. Tra le novità emerse ieri, Luca Cordero di Montezemolo lascia il cda della società che ora è composto da John Elkann, Sergio Marchionne, Andrea Agnelli, Tiberto Brandolini d’Adda, Ruth J. Simmons, Ronald L.Thompson, Patience Wheatcroft, Stephen M. Wolf. Nuovi ingressi Glenn Earle, l’imprenditore dell’abbigliamento Ermenegildo Zegna e Valerie A. Mars, della dinastia Usa del cioccolato.